“Favi a cunigghiu chi giri”

RIPUBBLICO QUESTO POST PER PARTECIPARE AL CONTEST

“Le ricette della carestia”

 per saperne di più andare alla fine dell’articolo (dopo averlo letto, spero!).

Tanti anni fa una signora mi raccontava che quando era bambina nel dopo guerra, la sua famiglia non se la passava tanto bene, e così quando lei giocava nel cortile, la sua mamma per avvisarla che il pranzo o la cena erano pronti, urlava dalla finestra: “trasi ca è pronto i manciari” (entra che è pronto da mangiare) e poi: “oggi quaglie” oppure “oggi ficatu i setti cannola” oppure “favi e cunigghiu” etc.

Quando la bambina tornava a casa trovava però a tavola: melanzane fritte (che a Palermo chiamiamo quaglie), zucca rossa (ovvero ficatu etc…), fave secche in zuppa (chiamate fave a cunigghiu).

Il motivo del volontario tentativo di fraintendimento messo in atto dalla madre, serviva a far credere al vicinato di cucinare carne e quindi mostrare di appartenere ad un “livello sociale” più alto.

C’era una vecchia barzelletta in cui il povero solito Pierino per fare capire alla maestra di rifocillarsi ogni giorno con pietanze ricche e a base di carne, le elencava una serie di piatti come: “cotolette, lacerto, arrosto, etc”, però alla pronta domanda della maestra: “ma quanto ne hai mangiato?” il furbo Pierino rispondeva : “ne ho mangiati tre mazzi, maestra”.

Un po’ come in anni più recenti, capita che alcune persone, pur vivendo in povertà magari in case decadenti, espongano però in balcone le antenne satellitari o si indebitino con rate infinite pur di avere telefonini di ultima generazione, per possedere anche loro uno status symbol da mostrare agli altri… i tempi cambiano!

Ma perché tutta questa tiritera? Semplicemente perché il post di oggi è dedicato alle “fave a cunigghiu”.

Che c’entrano le fave con i conigli? Niente, se non che le fave secche bollite e con l’origano, si “devono mangiare” con le mani, schiacciando con gli incisivi la buccia e facendo fuoriuscire l’interno della fava, tutto ciò ricorderebbe, nella fantasia popolare, il modo in cui le mangiano i conigli.

Le “fave a cunigghiu” quindi sono le fave secche generalmente bollite e condite all’insalata con l’origano, in casa mia però abbiamo sempre nominato questo piatto per indicare un’ottima zuppa di fave con i giri (che sono le bietole in dialetto palermitano).

E’ un piatto della cucina povera siciliana che mi piace tantissimo, un ottimo abbinamento che crea un brodetto denso e saporito. Certo, bisogna mangiarle usando la forchetta per prendere i giri (bietole), il cucchiaio per il brodo, ma soprattutto le mani per le fave, che vanno poi portate alla bocca per separare l’interno dalla buccia che va buttata successivamente in un piattino messo apposta per tale uso, non è un’ attività molto raffinata, ma se la si fa nell’intimità delle proprie mura domestiche può rivelarsi un’esperienza positiva, insomma per un giorno si diventa simili ai conigli, ma mi domando se non siano i conigli ad offendersi essendo paragonati a tali mangioni umani!

Ricetta

Ingredienti:

500gr fave secche con la buccia, 4 mazzi di bietole a coste larghe, 4 spicchi d’aglio (in camicia), acqua, sale, olio q.b.

Preparazione:

Mettere le fave a bagno in acqua bollente (fuori dal fuoco) per due ore.

Quando la buccia si comincia ad ammorbidire, scolarle e con un coltellino togliere l’occhio della fava (la parte superiore nera) e poi sciacquarle. Riempire una pentola con acqua, quando bolle versare le fave, l’aglio e sale q.b. Da quando l’acqua ribolle, lasciar cuocere a fuoco moderato, con coperchio semi chiuso per circa un’ora e mezza, mescolando ogni tanto. A questo punto, aggiungere le bietole precedentemente lavate, scolate e dimezzate (se di dimensioni troppo lunghe). Da quando riprende il bollore far cuocere per altri quindici minuti. Condire con olio crudo.

Buon appetito

CON QUESTA RICETTA PARTECIPO AL CONTEST

“LE RICETTE DELLA CARESTIA”

nella categoria: RICETTA ANTICA

13 thoughts on ““Favi a cunigghiu chi giri”

  1. Che belle!!! Quando leggo i tuoi post palermitani mi commuovo perché davvero mi sembra di ritornare ai bei vecchi tempi di quando ero bambino e vivevo la mia quotidianità palermitana! Mi sembra che esistano anche “i favi a’canazzu”, però non sono sicuro di come si facciano! Le mie preferite cmq restano sempre “i favi a frittedda”! Ciao Evelyn, alla prossima ricetta palermitana!

  2. Ciao, che io sappia “u canazzu” è una sorta di peperonata tutta “cotta dentro” nel tegame, con le fave non so, invece le fave a frittedda, mm che buone!!! Ti avevo pensato quando ho scritto il post sulla testa di capretto visto che ho inserito la ricetta in palermitano stretto (di mia nonna!), perchè so che apprezzi il nostro bel dialetto! Grazie a presto!

  3. @Mirtilla:ciao!
    @Claudia: sono grosse in effetti, sono quelle che si comprano secche in busta con la buccia però, perchè quelle decorticate invece servono per fare il macco. Stando in ammollo aumentano di volume! Ciao!!!

  4. ciao Evelin le fave secche non mi piacciono tanto ma hai fatto bene a proporle e a raccontarci la storia ,anche mio nonno me ne ha raccontate tante …perche’ non partecipi al Contest di Luna??? baci

  5. ma che post bellissimo, complimenti!!! E anche la ricetta mi piace assaaaaai! A proposito, con questa ricetta potresti partecipare sia al mio contest che alla raccolta di Melazenzero, è adatta ad entrambe.
    ciao ciao

  6. Pingback: > I favi a cunigghiu chi giri | Giornale Blog

  7. ..una piccola aggiunta che faceva mia nonna erano i “porri” e per tale motivo li chiamavamo a casa mia “fave ,giri e porri”. mentre le fave a coniglio erano chiamate quelle semplici bollite con aglio in camici ae dopo condite con pochissimo pomodoro, origano sale e pepe. CIAO vito

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