U maccu ri favi e due categorie umane

Anche una zuppa tradizionale può fare riflettere sul senso dell’umanità e così quando ho cucinato “u maccu ri favi” ho pensato a quanto le zuppe mi piacciano “belle maccose” e non “brodose”, che posso proprio dirlo con sincerità, io tifo per il macco (denso, corposo e amalgamato) e non per il brodo (lento, annacquato e galleggiante).  Così pensando e rimuginando sono arrivata ad una conclusione “scientificamente avvalorata” da diverse notizie trovate su  wikipedia e non solo…

macco di fave

E’ possibile dividere l’umanità in maccosi e in brodosi, o per dirla in palermitano in maccusi o in broruosi? continua

Le favette fresche con le uova

Le fave sono uno degli ingredienti principali della cucina povera siciliana e non solo, esistono tante ricette a base di fave: che siano fresche, grandi, piccoline, secche, con la buccia, sono sempre molto apprezzate. Dal “macco” (zuppa cremosa a base di fave secche) che si può mangiare con o senza pasta, alle “fave a cunigghio” (a coniglio, ovvero bollite e condite con olio e origano), le fave con i giri (con le bietole), la “frittedda” (zuppa di carciofi, piselli e fave), fino ad arrivare alle favette fresche con la cipolletta, non ci si stanca mai di mangiarle, soprattutto in questo periodo dell’anno in cui sono fresche, di piccole dimensioni e tenere.

uova con le fave

E’ incredibile come cercando informazioni su internet si trovino notizie davvero curiose, per esempio l’avversione che il famoso filosofo e matematico Pitagora provava per le fave. Incredibile, un pensatore la cui vita è avvolta nel mistero, uno studioso grazie a cui sappiamo qualcosa in più riguardo ai triangoli rettangoli, ma soprattutto colui che forse fu il primo vegetariano dell’occidente, rifiutava le fave: non voleva nemmeno toccarle, guardarle da lontano, altro che zuppe e ricette, preferì farsi uccidere piuttosto che fuggire attraverso un campo di fave. continua

“Favi a cunigghiu chi giri”

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“Le ricette della carestia”

 per saperne di più andare alla fine dell’articolo (dopo averlo letto, spero!).

Tanti anni fa una signora mi raccontava che quando era bambina nel dopo guerra, la sua famiglia non se la passava tanto bene, e così quando lei giocava nel cortile, la sua mamma per avvisarla che il pranzo o la cena erano pronti, urlava dalla finestra: “trasi ca è pronto i manciari” (entra che è pronto da mangiare) e poi: “oggi quaglie” oppure “oggi ficatu i setti cannola” oppure “favi e cunigghiu” etc.

Quando la bambina tornava a casa trovava però a tavola: melanzane fritte (che a Palermo chiamiamo quaglie), zucca rossa (ovvero ficatu etc…), fave secche in zuppa (chiamate fave a cunigghiu).

Il motivo del volontario tentativo di fraintendimento messo in atto dalla madre, serviva a far credere al vicinato di cucinare carne e quindi mostrare di appartenere ad un “livello sociale” più alto.

C’era una vecchia barzelletta in cui il povero solito Pierino per fare capire alla maestra di rifocillarsi ogni giorno con pietanze ricche e a base di carne, le elencava una serie di piatti come: “cotolette, lacerto, arrosto, etc”, però alla pronta domanda della maestra: “ma quanto ne hai mangiato?” il furbo Pierino rispondeva : “ne ho mangiati tre mazzi, maestra”.

Un po’ come in anni più recenti, capita che alcune persone, pur vivendo in povertà magari in case decadenti, espongano però in balcone le antenne satellitari o si indebitino con rate infinite pur di avere telefonini di ultima generazione, per possedere anche loro uno status symbol da mostrare agli altri… i tempi cambiano!

Ma perché tutta questa tiritera? Semplicemente perché il post di oggi è dedicato alle “fave a cunigghiu”.

Che c’entrano le fave con i conigli? Niente, se non che le fave secche bollite e con l’origano, si “devono mangiare” con le mani, schiacciando con gli incisivi la buccia e facendo fuoriuscire l’interno della fava, tutto ciò ricorderebbe, nella fantasia popolare, il modo in cui le mangiano i conigli.

Le “fave a cunigghiu” quindi sono le fave secche generalmente bollite e condite all’insalata con l’origano, in casa mia però abbiamo sempre nominato questo piatto per indicare un’ottima zuppa di fave con i giri (che sono le bietole in dialetto palermitano).

E’ un piatto della cucina povera siciliana che mi piace tantissimo, un ottimo abbinamento che crea un brodetto denso e saporito. Certo, bisogna mangiarle usando la forchetta per prendere i giri (bietole), il cucchiaio per il brodo, ma soprattutto le mani per le fave, che vanno poi portate alla bocca per separare l’interno dalla buccia che va buttata successivamente in un piattino messo apposta per tale uso, non è un’ attività molto raffinata, ma se la si fa nell’intimità delle proprie mura domestiche può rivelarsi un’esperienza positiva, insomma per un giorno si diventa simili ai conigli, ma mi domando se non siano i conigli ad offendersi essendo paragonati a tali mangioni umani!

Ricetta

Ingredienti:

500gr fave secche con la buccia, 4 mazzi di bietole a coste larghe, 4 spicchi d’aglio (in camicia), acqua, sale, olio q.b.

Preparazione:

Mettere le fave a bagno in acqua bollente (fuori dal fuoco) per due ore.

Quando la buccia si comincia ad ammorbidire, scolarle e con un coltellino togliere l’occhio della fava (la parte superiore nera) e poi sciacquarle. Riempire una pentola con acqua, quando bolle versare le fave, l’aglio e sale q.b. Da quando l’acqua ribolle, lasciar cuocere a fuoco moderato, con coperchio semi chiuso per circa un’ora e mezza, mescolando ogni tanto. A questo punto, aggiungere le bietole precedentemente lavate, scolate e dimezzate (se di dimensioni troppo lunghe). Da quando riprende il bollore far cuocere per altri quindici minuti. Condire con olio crudo.

Buon appetito

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“LE RICETTE DELLA CARESTIA”

nella categoria: RICETTA ANTICA