Le sculture di Giacomo Randazzo a Terrasini “Bellezza come impegno”

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Domenica 4 Giugno 2017 alle ore 17.30 sarà inaugurata presso il Margaret Cafè, in Via V. Madonia 93 a Terrasini, la mostra di sculture di Giacomo Randazzo intitolata “Bellezza come impegno”, promossa e curata dall’associazione Asadin con testo di presentazione di Evelin Costa.

Interverranno: Caterina Vitale, Emilia Ricotti, Maria Concetta Biundo, Giovanna Fileccia, Giacomo Randazzo. Modera l’incontro Evelin Costa.

La mostra sarà visitabile fino al 24 Giugno 2017, tutti i giorni dalle 9:00 alle 23:00.

 

“Giacomo Randazzo presenta alcune delle sue sculture in ferro e materiale di riciclo. Le sue opere astratte nascono da un percorso interiore alla ricerca dell’armonia, di una interazione con il proprio intimo e di empatia con l’osservatore, che in questo rapporto simbiotico con l’autore, diviene a sua volta creatore di nuovi significati e di nuove creazioni interiori, liberando la propria fantasia nell’accostarsi alle opere.

 

Quella di Giacomo Randazzo è una ricerca ideale e artistica che nasce già negli anni ‘70. La sua opera di artigiano nella bottega paterna si intreccia indissolubilmente con le sue scelte ideali che lo portano a prendere parte nel 1976 al Circolo Musica e Cultura insieme a tanti giovani di Cinisi con Peppino Impastato. Una scelta di impegno sociale, ma anche di bellezza, cultura, musica, autocoscienza individuale e collettiva, che lo ha accompagnato per tutta la vita. Una forte idealità che in quegli anni si esprimeva in varie forme, dall’arte figurativa al teatro sperimentale, sviluppando tematiche ecologiche ed ambientali, nel rispetto del territorio, facendo controinformazione, criticando la mafia e tutti quei poteri che sfruttavano e depauperavano la realtà circostante per l’arricchimento di pochi. Era, quella di questi giovani, una ricerca alternativa che privilegiava il “Noi” all’ “Io”, per una trasformazione dell’esistente che valorizzasse ciò che appartiene a tutti. Alla lotta si accompagnava la cultura, nell’idea che educare alla bellezza potesse essere uno dei veicoli per il cambiamento.

Questo concetto è stato una bussola nella vita di Giacomo Randazzo: contrastare il marcio del Sistema tramite l’arte, contrapponendo alla ricerca della ricchezza individuale voluta dai potenti e dai mafiosi anche a costo di distruggere il bene comune, un’idea alternativa di bellezza autentica e per tutti, ritrovata in ciò che è povero, ma che può, tramite la fantasia e la creatività, assumere una nuova ricchezza fatta di valori, idee e forme, in un nobile connubio tra etica ed estetica.

 

Dall’84 Giacomo Randazzo ha cominciato a dedicarsi all’arte astratta partendo da materiali di recupero, oggetti che altrimenti sarebbero stati destinati alle discariche. Ha scoperto che ritrasformando questi oggetti ormai privi di utilità, apparentemente brutti, arrugginiti e malridotti, poteva realizzare nuovi manufatti e sculture dalle forme armoniose. Poteva assemblare elementi estranei tra loro per creare nuove relazioni e nuova bellezza. Nascono così le sue sculture astratte prevalentemente fatte di ferro o tufo, create quasi seguendo un percorso inconscio ed istintuale in cui sembra emergere qualcosa di ancestrale, essenziale, semplice e articolato al contempo, come lo sono le sinapsi del cervello ed i grovigli dell’animo umano.

In alcuni casi queste sculture sembrano assumere le forme della natura rilette dallo sguardo dell’artista. Bulloni, ingranaggi, reti metalliche, pietre, vetri, specchi, prendono vita e diventano altro: rami, fiori, raggi di sole o forse note musicali, fronde spinte dal vento, nuvole, onde del mare, abbracci d’amore tra esseri umani, il maschile ed il femminile, prigioni e libertà, spirito, materia, energia e vita.

Randazzo sceglie l’astratto perché per lui rappresenta uno stimolo a trovare un rapporto con l’intimo, a cercare delle risposte nel sé, questo riguarda sia il suo percorso di creatore delle opere nel momento in cui le realizza, ma riguarda anche chi osserva le opere sforzandosi nel trovare nuovi significati, i propri. Ognuno può trovare o rivedere in quelle sagome qualcosa di personale ed il solo fatto di averle cercate, di essersi posti il dubbio, di aver desiderato risposte, genera una connessione con la propria interiorità, esorta ad un rapporto con se stessi, sviluppa la fantasia e suscita emozioni. Che da questo viaggio interiore sgorghi una lacrima o scaturisca un sorriso non importa, l’importante è sentire che si è vivi, sensienti e pensanti.

Una sfida dunque al sistema mafioso e di potere fatta tramite l’arte, dove le uniche armi per il cambiamento sono la fantasia, l’educazione alla cultura, la ricerca interiore e l’interscambio con l’altro. E’ questo che Giacomo Randazzo cerca di trasmettere ai fruitori delle sue opere ed ai tanti bambini che incontra nel suo impegno con Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato: “Create bellezza, musica, poesie, sculture, oggetti realizzati da voi ed entrate in connessione con voi stessi, così si potrà sconfiggere la bruttezza della mafia”.  Evelin Costa

 

Giacomo Randazzo, classe 1952, vive ed opera a Cinisi. Nel 1974 ha conseguito il diploma di perito chimico. La sua principale attività è quella di artigiano, realizza lavori in ferro battuto e pezzi meccanici. E’ anche scultore di opere in ferro, tufo e ceramica.

A Cinisi, presso Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, sono esposte alcune sue sculture ed un’intera stanza ospita il suo plastico del Mulinazzo, un’opera grande e dettagliata che racconta la civiltà contadina che non c’è più.

Dal 1988 ha realizzato un Presepe semovente, riprendendo alcuni meccanismi del Presepe costruito precedentemente dal padre Lorenzo, che attualmente è visitabile a Cinisi presso il Salone Comunale. Il Presepe ha ricevuto numerosi premi in concorsi regionali e nazionali, per la fedeltà della riproduzione in miniatura e per le realistiche animazioni meccaniche. E’ inserito nel Registro delle eredità immateriali (R.E.I.) istituito dalla Regione Sicilia, a salvaguardia del patrimonio culturale secondo le indicazioni dell’Unesco.

CIAO PEPPI’ ed altre irriverenze, prolungata di qualche altro giorno la mostra di Pino Manzella al Margaret Cafè

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CIAO PEPPI’ ed altre irriverenze…

di  Evelin Costa

Pino Manzella, pittore siciliano, tra i fondatori del Circolo Musica e Cultura a Cinisi, amico e compagno di lotta di Peppino Impastato, ha dedicato tutta la sua vita e la sua poetica artistica a mantenere vivo il ricordo di Peppino e di quell’impegno contro la mafia e per la trasformazione dell’esistente, intrapreso negli anni ’70 in provincia di Palermo da giovani che, in una realtà non facile perché la  mafia controllava il territorio e si insinuava nei gangli della politica e della società, volevano fuoriuscire dagli schemi tradizionali.

L’impegno artistico di Pino Manzella nasce come espressione “militante”, un modo per interpretare la realtà. I suoi primi disegni erano vignette disegnate a mano nei bollettini poi ciclostilati con cui si faceva volantinaggio, illustrazioni di manifesti, copertine per i giornalini che passavano di mano in mano tra i giovani compagni. Spesso questi disegni non erano firmati perché in quegli anni si dava maggior peso al valore della collettività piuttosto che all’individualismo.

Pino Manzella espone, dopo quasi quarant’anni dalla morte per mano mafiosa di Peppino Impastato, una selezione delle sue vignette realizzate a partire dagli anni ’70 fino alla più recente del 2011, ritrovate tra vecchi documenti, giornali, manifesti e locandine conservati nel suo studio di pittore impegnato e custode di una memoria sempre viva e soprattutto sempre attuale, perché profondamente legata al bisogno di trasformazione e di libertà. L’autore dedica la mostra a Peppino la cui vita e la cui morte hanno segnato visceralmente tutto il corso della sua esistenza, come quella di coloro che di questa storia sono stati partecipi e che malgrado la sofferenza hanno mantenuto alta la testa e non hanno smesso di lottare.

Le vignette che Manzella espone sono solo una piccola parte della sua grande produzione. La più antica di questa mostra è del ’74, si tratta della prima parte di uno studio di vignette suddiviso in tre momenti, ieri, oggi e domani, facenti parte di un manifesto che denunciava la corruzione all’interno dell’ufficio di collocamento per i posti di lavoro in aeroporto, per mezzo di un esponente dell’MSI. Uno dei manifesti affissi venne strappato da un gruppo di giovani fascisti provocando una lite, è un episodio in cui si racconta intervenne Felicia, mamma di Peppino per difendere il figlio.  Le altre vignette meno recenti fanno parte di alcuni numeri del Bollettino intitolato “Nove Maggio”, le successive, che attraversano gli anni ’80, ’90 ed il 2000, erano pubblicate nel giornale cartaceo Terrasini Oggi/Cinisi Oggi.

Emerge l’umorismo satirico, pungente, irriverente e dissacratorio dell’autore, che affonda la sua matita nella realtà affrontando tematiche senza tempo che parlano di rapporti mafia-politica, corruzione, appalti truccati, compravendita di voti e di posti di lavoro, raccontano le inefficienze, il trasformismo  ed i compromessi della politica, di sovente più interessata al mantenimento del potere e delle poltrone piuttosto che al bene comune,  un’attitudine permessa anche  dalla complicità, dall’indifferenza e dalla rassegnazione da parte del cosiddetto “popolino”, sempre utilizzato e contemporaneamente disprezzato dai dominanti. Così i protagonisti delle vignette, alle volte si tratta di Totò e Vicè, citando i personaggi di Franco Scaldati, che commentano il giornale al bar sport, raccontano vicende locali riguardanti l’immondizia, il pennello a mare, il porto, il depuratore, il piano regolatore, l’accesso al mare negato al pubblico, oppure quelle opere mai realizzate o inutili che hanno causato un dispendio dei fondi pubblici e una deturpazione dell’ambiente. Tutto interpretato con un tono sarcastico e tagliente, accompagnato da battute dirette e sferzanti che strappano ancora oggi, dopo alcuni o molti anni, una risata amara, perché sviscerano i meccanismi più intricati di una realtà che ancora non è del tutto cambiata.

Tra le vignette ce ne sono alcune che entrano dentro la storia di Peppino, raccontano le indagini del processo successivo alla sua uccisione, rievocano il coraggio dei microfoni di Radio Aut e di quei giovani che con il loro “giornalaccio” sfidavano il potere rischiando anche la vita. E c’è la dedica a Peppino che come un angelo laico continua a lottare dall’alto, con il suo palloncino che è a forma di mondo, perché è dal mondo che bisogna partire ed è il mondo che, lottando, pensando ed a volte anche ridendo, bisogna trasformare.

La mostra sarà visitabile fino al 3 Giugno 2017 presso il Margaret Cafè in Via V. Madonia 93, Terrasini (PA)f 1

I colori dei damaschi – Sebastiano Caracozzo in mostra a Terrasini

“Sebastiano Caracozzo, nella sua mostra di pittura intitolata “I colori dei damaschi”, presenta opere ispirate alle tradizioni antropologiche, popolari e religiose di una Sicilia colta che parla di miti e leggende intramontabili. Partendo dall’iconografia classica del folclore siciliano, l’autore reinterpreta con tratto personale ed originale le geometrie, i simboli ed i colori peculiari dei carretti siciliani, in un incontro di miniature e cornici contenenti oggetti che rappresentano la storia della Sicilia. Da questo racconto in immagini si sviluppa la particolare narrazione delle tradizioni religiose tipiche della Settimana Santa, che in Sicilia presenta una complessità di contenuti e simbologie dei temi teologici, dovuta ai numerosi influssi delle dominazioni che si sono susseguite in questa terra. Messi in scena i volti dei protagonisti principali della Passione, interpretati con estrema raffinatezza, sensibilità e maestria. Volti armoniosi, belli, dall’espressione estatica. Non guardano verso lo spettatore, ma si rivolgono ad un mondo ultraterreno e ad una realtà salvifica a cui anelare. Una rassegna di immagini eleganti che sembrano uscite da uno scrigno prezioso, traboccante di ori, gioielli, tessuti, intrecci e dedali di pregiate trame oniriche. Sebastiano Caracozzo dipinge su stoffe di damasco carezzando le loro luci e opacità, le onde, i disegni floreali con pennellate morbide di colori a volte tenui a volte più decisi. Damaschi che sono il perfetto supporto per queste opere d’arte che come in una drammaturgia teatrale rievocano sentimenti profondi che ispirano e rendono lo spettatore partecipe di emozioni, che si levano leggere verso l’alto e che non riescono ad essere sopite.” Evelin Costa

Sebastiano Caracozzo nasce a Mistretta (ME), vive ed opera a Palermo. Pittore autodidatta dipinge prevalentemente figure e paesaggi interpretati con stile personale su vari supporti tra i quali tessuti, tele e carte damascate. Alcune sue opere sono esposte presso il Museo Diocesano di Palermo e Monreale, presso il Museo di Sant’Angelo di Brolo. Ha partecipato a molte mostre d’arte ed ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra i quali quello attribuitogli da una commissione presieduta da Maurizio Calvesi nella città di Fondi in provincia di latina.

 

Domenica 9 Aprile 2017 alle ore 18.00 presso il Margaret Cafè in Via Madonia 93 a Terrasini (PA), sarà inaugurata la mostra di pittura di Sebastiano Caracozzo intitolata “I colori dei damaschi”. La mostra, promossa dall’Associazione Asadin con la collaborazione di Evelin Costa, sarà visitabile fino al 27 Aprile 2017, tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00.

                                               

 

Carmelo Pecora presenta “Tre ragazzi in cerca di avventure e sette racconti” a Terrasini

Sabato 1 Aprile 2017 alle ore 17.00 presso il Margaret Cafè in Via Madonia 93 a Terrasini (PA), Carmelo Pecora presenterà il suo libro , CartaCanta Editore.

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Carmelo Pecora, che attualmente vive in Emilia Romagna, si trova in questi giorni ad Enna, sua città d’origine, dove una scuola ha adottato il suo nuovo libro. Siamo felici di averlo con noi a Terrasini visto il suo legame con il nostro territorio, lo scorso anno è stato a Cinisi dove a presentato L’urlo di Maggio, il suo reading teatrale tratto dal libro  9 maggio ’78 – Il Giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato. Anche in questa occasione si aprirà uno scambio rispetto a questa tematica.

All’evento coordinato da Evelin Costa, sarà presente l’autore del libro ed interverrà Pino Manzella. Saranno proposte alcune letture.

L’evento è promosso dall’associazione Asadin con la collaborazione di Evelin Costa.

Carmelo PecoraCarmelo Pecora (Enna, 1959) è un ex ispettore capo della Polizia scientifica. In ambito letterario ha al suo attivo diverse pubblicazioni tra cui: 9 maggio ’78 – Il Giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato (Editrice Zona, 2007) che ha ricevuto il Premio speciale al concorso Com&Te e dal quale è stato tratto il reading teatrale L’Urlo di Maggio; Polvere negli occhi sulla strage alla stazione di Bologna (Editrice Zona, 2009), Ustica, confessioni di un angelo caduto (Editrice Zona, 2011) e Gli infedeli – storie e domande della Uno bianca (Editrice Zona 2014).

Enna, nel cuore della Sicilia, tre ragazzini di tredici anni, un po’ per gioco un po’ per scommessa, scappano di casa e decidono di intraprendere un viaggio che possa portarli lontano, magari in America. Tra mille peripezie arrivano a Palermo, una città mai vista e all’apparenza lontanissima, da dove cercano di imbarcarsi su una nave e dare così inizio a una avventura ancora più incredibile. Molti anni dopo, uno dei tre, diventato responsabile della Polizia scientifica si trova di fronte a una situazione simile: Margherita, una sedicenne pugliese, abbandona la sua famiglia e parte alla volta di Milano per rincorrere un sogno. Durante le procedure di identificazione, i ricordi, inevitabilmente, si faranno spazio nella mente del capo della Polizia scientifica e tutto sembrerà tornare, per qualche ora, a quel lontano 1971.

Un romanzo breve e sette racconti che sono un inno alla libertà e al senso di responsabilità che nel corso della vita accompagnano le nostre scelte, al desiderio di un mondo più giusto che alberga nel cuore di chi ogni giorno si impegna per un futuro migliore.

 

8 Marzo 2017 “Nzemmula- ritratti per la libertà”

 

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“La mostra “’Nzèmmula – Ritratti per la libertà” nasce da un’idea di Caterina Blunda, che si è andata, durante il lavoro di gruppo, arricchendo di spunti, visioni e riflessioni, più che una collettiva è da intendere come un lavoro di gruppo. Il progetto fotografico parte dall’esigenza di denunciare le violenze che ogni giorno le donne subiscono in tutto il mondo, attraverso immagini e frasi in vernacolo siciliano, a rafforzare l’identità linguistica e culturale, frasi “tatuate sui corpi” delle protagoniste e dei protagonisti di questi scatti. Anche nell’Occidente del mondo, dove le lotte femminili hanno migliorato la condizione della donna, la cultura dominante fa vivere la donna in uno stato di subordinazione rispetto all’uomo. Il corpo delle donne è ancora considerato un oggetto da controllare e strumentalizzare, la donna concepita come madonna o angelo del focolare, da venerare disumanizzandola, oppure come donna in carriera che deve imitare l’atteggiamento maschile anche nei suoi aspetti peggiori (questa a volte erroneamente è stata chiamata parità), o come la libertina da denigrare, o come la vittima da piangere. Tutte sfaccettature diverse di una stessa concezione che non riesce a vedere la donna come un essere intero, libero ed autodeterminato.

Le donne che decidono di fare scelte differenti da quelle ordinarie, le donne che non vogliono continuare una relazione, le donne che vogliono una propria indipendenza, sono spesso vittime di uomini, solitamente di ambito familiare, che non riescono ad accettare il rifiuto, a considerare la donna se non come una proprietà da controllare. Sono però vittime non solo del genere maschile, ma di una società tutta, che silenziosamente approva e finge di denunciare solo quando si presenta il caso di una donna uccisa da mano maschile, ma che al contempo ogni giorno condanna la donna quando non sottostà agli schemi della vita che le è stata “assegnata”. Le donne spesso sono vittime anche di se stesse, quando non riescono a distinguere l’amore dal possesso e rimangono prigioniere di relazioni distruttive e quando invece di solidarizzare tra loro diventano rivali e si condannano vicendevolmente, perché incapaci di immaginare un’alternativa, un cambiamento sociale e culturale.

Il sistema quando si erge a “difensore” delle donne, tende ulteriormente a vittimizzarle, a presentarle attraverso i mass media, come ferite, deboli, bisognose di qualcuno che le tuteli, che le protegga, e dalla protezione il passo verso il controllo e la sopraffazione è breve. Ne sminuisce così ulteriormente la forza e la capacità di autodeterminazione, di libertà e di scelta.  Solo un cambiamento culturale che coinvolga tutti i generi migliorerebbe la vita di tutti, perchè una società non è veramente libera se una sua parte non lo è. Un discorso sulla violenza contro le donne serve quindi a sensibilizzare le donne, ma anche gli uomini, perché solo insieme si può cambiare la società.

 

E’ per questo che la mostra “Nzemmula-ritratti per la libertà”, pur partendo dalla condizione di sofferenza e di denuncia, non mette lividi e cicatrici nei visi delle donne e sceglie di rappresentare il riscatto, la rivoluzione della donna che vuole essere libera, che spezza le catene, rivendica la propria bellezza, dolcezza, forza, contraddizioni e complessità. Un viaggio che parte dalla denuncia della violenza sia fisica che psicologica di quello che avviene nella società attuale: “I paroli su petri”, “arsa r’amuri”; lo svelamento dell’illusione che concepisce come amore ciò che amore non è, perché  se l’amore è scelta quotidiana di sostenersi, di costruire un futuro insieme, di comprendersi e valorizzarsi reciprocamente, ciò che mette al centro la gelosia soffocante, lo spirito proprietario dell’uno verso l’altro, la violenza al posto delle carezze, non può essere chiamato amore: “O mia o di nuddu”, “Pareva un pezzu ri pani”, sono la negazione dell’amore. Il viaggio continua nella voglia di affermazione di se, di rompere il silenzio, di spezzare la propria complicità con la mentalità patriarcale, di scegliere di essere se stessa: “a fimmina nun si tocca mancu c’un ciuri”, la donna finalmente con le forbici taglia un filo che le teneva “a vucca cusuta”, e dichiara: “sugnu chiossai, sugnu libirtà … e nun vogghiu chiù catini”. Per concludere la donna decide di rompere i muri fisici e virtuali che attanagliano la società, muri che separano i generi, muri di silenzio, di ignoranza, di paura, di razzismo, di separazione ed emarginazione: “Sdirrubbamu sti mura”, perché una società in cui le persone sono separate tra loro, se diverse, non è una società felice.

Si esprime quindi il coraggio delle donne che cercano di essere protagoniste della propria vita, di sostenersi tra loro, di cambiare in positivo la realtà, a partire dalle proprie facoltà di accoglienza, solidarietà e cura dell’altro. In questo percorso fotografico si è voluta mettere in risalto anche l’esistenza di una parte del genere maschile che non è violenta, brutale e opprimente, ma che vuole cambiare, che solidarizza con la donna, uomini che a volte sono vittime essi stessi del maschilismo. Quando non si allineano nel ruolo dei dominatori che decidono e comandano, vengono spesso bullizzati e ridicolizzati. Si raffigura quindi anche il coraggio di quegli uomini che decidono di mettere in discussione se stessi e i privilegi dell’appartenere a un genere finora avvantaggiato e dominante, scegliendo di solidarizzare con le donne e di mettere in campo la propria sensibilità, in contrapposizione alla violenza.  Dall’uomo che cercando dentro se stesso si domanda se è “omu o bestia”, all’uomo riflessivo che vuole mettere fine al mutismo di genere: “Fussi ura ri parrarini!”, all’uomo che dona il suo amore senza pretendere nulla perché: “u cori nun s’accatta e nun si vinni, si runa”, all’uomo che sceglie di uscire dall’oscuro e afferma: “Putemu canciare”.  Un’esigenza, quella di raffigurare gli uomini, che vuole sottolineare quanto la battaglia delle donne non sia una lotta delle donne contro gli uomini, ma di tutti contro il maschilismo, perché il cambiamento va fatto insieme, per la libertà e la ricerca dell’armonia tra i generi.

Nasce così e si sviluppa un connubio tra i quattro fotografi Caterina Blunda, Pino Manzella, Nicola Palazzolo e Massimo Russo Tramontana e i soggetti fotografati, dodici tra donne e uomini che hanno scelto di mettere in questo percorso comune la propria faccia, ma anche il proprio contributo ideale ed i propri pensieri. Otto donne e quattro uomini interpretati secondo le differenti visioni degli artisti, per affrontare un viaggio fotografico, di luci ed ombre, di equilibri e contrasti, di sguardi e gesti, parole e simboli, che partendo dalla sofferenza arrivi ad una più profonda consapevolezza di sé e ad una nuova relazione con l’alterità e la diversità.”

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Terrasini 8 Marzo 2017, contro la violenza di genere, video e mostra

Terrasini Mercoledì 8 Marzo 2017. Per celebrare la Giornata Internazionale della Donna si svolgeranno, col patrocinio del Comune di Terrasini, due eventi correlati tra loro, che hanno come filo conduttore la lotta contro la violenza di genere, la memoria, la denuncia di una realtà attuale nella quale ancora spesso prevale una cultura patriarcale fondata sul possesso, sulla prevaricazione, sulla violenza. Il bisogno di trasformazione e cambiamento riguarda tutti i generi, perchè una società non è veramente libera se una sua parte non lo è. Un discorso sulla violenza contro le donne serve quindi a sensibilizzare le donne, ma anche gli uomini, perché solo insieme si può cambiare la società, non contro ma uniti, per essere più liberi e felici tutti.

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Alle ore 17:00 all’Ex Antiquarium presso il Palazzo Municipale in Piazza Falcone e Borsellino a Terrasini verrà proiettato il video “I SOGNI NON SI IMPRIGIONANO”, tratto dalla omonima piecè teatrale, ideata e scritta da Francesca Randazzo con la collaborazione di Daniela Lupo. Interpreti: Sara Randazzo, Francesca Randazzo, Vera Abbate, Maria Grazia Vitale, Daniela Lupo, Evelin Costa, Chiara Mangiapane, Stella Ciullo, Valeria Anastasi, Lucrezia Costantino, Margherita Mongiovì.

Il video è stato prodotto dall’ Ass.ne Labnovecento45, regia di Michele Mangiapane.

Interverranno: l’Assessore alla Cultura Maria Grazia Bommarito, Francesca Randazzo, Michele Mangiapane.

Alle ore 18:00 l’evento continuerà presso la Sala espositiva del Margaret Cafè in via Madonia 93, a  pochi passi dall’Ex Antiquarium. Sarà inaugurata la mostra fotografica, promossa dall’Ass.ne Asadin, con foto di Caterina Blunda, Nicola Palazzolo, Pino Manzella, Massimo Russo Tramontana dal titolo “‘Nzèmmula – Ritratti per la Libertà”. Presenta la mostra Evelin Costa, a seguire un momento di incontro e letture sul tema. La mostra sarà visitabile fino all’8 Aprile 2017.

“I sogni non si imprigionano” nasce da un’idea di Francesca Randazzo e completa un percorso iniziato l’8 marzo 2015 con il “monologo di Rosa”. Il monologo rappresenta un episodio, realmente accaduto a Cinisi, di violenza carnale, tentando di immaginare le sensazioni, le emozioni più segrete, il disgusto, la rabbia di una donna che ha subìto violenza sessuale e che è stata dunque violata nella sua integrità fisica e morale. Ma, in una realtà culturale arretrata e maschilista, Rosa incarna il desiderio del riscatto personale e sociale, il bisogno di andare avanti a testa alta, affrontando ipocrisie e perbenismi.

Al dolore di Rosa, si unisce quello della madre che pur essendo consapevole della sua condizione di donna sottomessa all’uomo, cerca di realizzare il suo sogno di emancipazione, incoraggiando la figlia a intraprendere il suo percorso di libertà. E’ una denuncia di violenza tutta al femminile. Raccontiamo i sentimenti, il dolore, le gioie, i desideri per dare dignità a quelle donne violate che spesso, per la cronaca, diventano solo numeri oppure violentate una seconda volta, perchè le loro vite vengono scandagliate e usate per fare audience. E’ la denuncia di una cultura che ancora considera la donna un oggetto, una “cosa” che si può usare e di cui abusare, e non soggetto con una propria dignità, un proprio pensiero ed aspirazioni. Il racconto di una donna assieme alle testimonianze di altre donne, diventa così, con un grande senso di solidarietà, il racconto di tutte le donne che chiedono rispetto della propria dignità ed un dialogo ed un confronto tra uomo e donna.

 

“’Nzèmmula – Ritratti per la libertà” è una mostra fotografica che racconta attraverso immagini in bianco e nero e frasi in vernacolo siciliano, una realtà nella quale, oltre all’aspetto della violenza, c’è anche la voglia di riscatto, di libertà e di autoemancipazione, e la ricerca di una nuova armonia tra i generi. Foto nelle quali si esprime il coraggio delle donne che cercano il superamento dal ruolo di sottomesse o di vittime, scegliendo tutti i giorni di essere protagoniste della propria vita, di non essere complici della cultura patriarcale, di sostenersi tra loro, di cambiare in positivo la realtà, a partire dalle proprie facoltà di accoglienza, solidarietà e cura dell’altro. Si raffigura anche il coraggio di quegli uomini che decidono di mettere in discussione se stessi e i privilegi dell’appartenere a un genere finora avvantaggiato e dominante, scegliendo di solidarizzare con le donne e di mettere in campo la propria sensibilità, in contrapposizione alla violenza. Otto donne e quattro uomini interpretati secondo le differenti visioni degli artisti, per affrontare un viaggio fotografico, di luci ed ombre, di equilibri e contrasti, di sguardi e gesti, che partendo dalla sofferenza arrivi ad una più profonda consapevolezza di sé e ad una nuova relazione con l’alterità e la diversità.

 

 

Libro Fotografico “Arte mai vista” di Sonia Pennino – Recensione

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Il progetto fotografico e documentaristico realizzato da Sonia Pennino, giovane artista palermitana da sempre interessata all’impegno sociale, non può non toccare le corde più profonde dell’animo. L’idea è nata sviluppando un lavoro realizzato per un esame di fotografia all’Accademia delle Belle Arti, dove l’autrice si proponeva di ritrarre la giornata-tipo di un non vedente, in quel caso Emanuele Brancati, professore, scrittore e padre del suo compagno.

Sonia Pennino ha da qui intrapreso un viaggio empatico che l’ha portata a conoscere l’Unione Italiana Ciechi di Palermo ed entrare in contatto con la vita di dieci uomini e donne ipovedenti e non vedenti che si occupano di arte e fanno di questa il centro del proprio essere. Li ha fotografati nei luoghi della loro vita, in momenti belli, puntando sull’autonomia e mai sul vittimismo, sulla tempra, sulla capacità di superare, non solo i limiti personali, ma soprattutto quelli imposti dalla società che pensa i non vedenti, ma anche tutti coloro che hanno delle diversità, come persone impossibilitate a svolgere una vita felice, irrealizzate e vittime. Un pregiudizio che le trasforma in persone per le quali nutrire preoccupazione e da tenere a una certa distanza, perché spesso la relazione con chi vive una sofferenza provoca turbamenti, e non si considera invece quanto possa insegnare ad affrontare l’esistenza, con le sue gioie ed i suoi ostacoli, trasformando il dolore e le difficoltà in un punto di forza.

Il libro fotografico di Sonia Pennino, che contiene oltre alle immagini anche alcune interessanti interviste ai protagonisti che raccontano la loro storia, è quindi un libro di impegno sociale e di sensibilizzazione verso una realtà che può essere conosciuta profondamente solo da chi la vive, ma riguarda tutti, perché fa riflettere su tematiche importanti quali l’autonomia, l’abbattimento delle barriere architettoniche, la vivibilità delle città e la costruzione di una  concezione più umana della vita, che metta al centro uomini e donne nella loro complessità ed interezza e non fattori disumanizzanti e alienanti quali la produzione ed il guadagno. Eppure questo progetto, oltre al piano dell’impegno, rappresenta un vero e proprio lavoro artistico. Un elogio all’arte. Foto che ritraggono l’arte nel momento in cui viene espressa, nel suo ruolo salvifico per chi la crea, ma anche per chi ne usufruisce. Arte come terapia, comunicazione, supporto, genio, talento e passione, che può cambiare la vita di chi la incarna.

Sonia Pennino ha realizzato le sue foto in bianco e nero. “L’assenza di fotografie a colori è stata voluta – come lei stessa scrive nell’introduzione al proprio libro – È nata dalla considerazione di quanto la fotografia sociale sia rimasta fino ad oggi dominata dal bianco e nero; scelta tecnica, dunque, che si presta bene a raccontare di vite in cui il nero la fa da padrone”. Sono fotografie sociali ed artistiche in cui traspare l’essenza di chi è ritratto, la poesia interiore è resa dalla luce che emanano i volti e da una serie di oggetti, piccoli ed interessanti dettagli di vita ed arte.

Una lirica in immagini che emerge dalle mani, di sovente protagoniste. Mani artefici, mani che carezzano tasti di un pianoforte o di una macchina da scrivere, mani che leggono, mani che modellano, mani che sfiorano, che conoscono, che costruiscono. Mani abili, mani che comunicano e che carezzano per comunicare. La carezza, forma sublime dell’amore. E poi vi sono occhi, occhi che non vedono, ma sono intensi, profondi e belli come i volti dolci e fieri delle giovani protagoniste del progetto, come quelli di tutti loro, uomini e donne il cui mondo intrinseco è vivo nell’arte che creano.

Nelle foto prevale il grigio, colore-non colore che appartiene all’interiorità, colore solo apparentemente spento, assenza che invece contiene infinite sfumature di presente, comunicando spiritualità, calma, attesa. Nelle foto di Sonia Pennino il grigio, l’ombra, il lieve buio, sono illuminati da guizzi di bagliore. Luce che pennella le rughe delle mani che stanno lavorando, luce che sfiora un’opera d’arte appena realizzata, luce che irrora un volto enfatizzandone i lineamenti, luce diffusa che rischiara un ambiente in cui il protagonista è in ombra, o viceversa luce diretta che mette in risalto il soggetto protagonista. Luce che entra da una finestra, luce “drammatica” che trasforma i luoghi fotografati in un palcoscenico del reale, dove un fascio luminoso designa l’essenziale, ciò che è intenso, l’ispirazione quando nasce e diventa magia, canto sublime, fuoco soprannaturale che avvicina l’umano all’universale.

Domenica 19 febbraio 2017 alle ore 19.00, presso il Margaret Cafè in Via V. Madonia 93 a Terrasini (PA), sarà presentato il libro “Arte mai vista” di Sonia Pennino edito da Kalós – Edizioni d’arte e contemporaneamente sarà inaugurata, all’interno della sala espositiva del caffè letterario, la relativa mostra fotografica. L’evento è promosso dall’Associazione Asadin con la collaborazione di Evelin Costa.

La mostra sarà visitabile fino al 7 Marzo 2017, tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00.

Interverranno: Avv. Tommaso Di Gesaro – Presidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Palermo, Paolo Brancati – Regista esperto di sociale, Daniela Capobianco – Operatrice specializzata in interventi Socio Assistenziali.

Sarà presente l’autrice del libro, Sonia Pennino.

Sonia Pennino (Palermo 1987), diplomatasi all’Istituto Statale d’Arte. Ha proseguito gli studi presso l’Accademia delle Belle Arti, laureandosi con un reportage fotografico sul “sesto senso” dei non vedenti e ipovedenti. Si dedica attivamente all’arte nelle sue molteplici forme, dalla pittura al teatro e alla fotografia. Ha partecipato a concorsi e a mostre nazionali di pittura e di Fotografia e ha allestito la mostra personale “Be-pride” presso i Cantieri Culturali alla Zisa in occasione di Palermo Pride 2013. Ha svolto anche attività di direttore della fotografia, fotografia di scena e consulente di fotografia per diverse fiction e sit-com. Nel 2016 ha pubblicato il libro “Arte mai vista” edito da Edizioni d’arte Kalós e realizzato mostre personali legate a questo progetto.

 

Presentazione del libro “Un Paese senza nome” di Emilia Merenda

Cari amici e amiche siete tutti invitati alla presentazione del libro di mia madre Emilia Merenda.un-paese-senza-nome2
Sabato 14 Gennaio 2017 alle ore 17.00, nella Sala delle Carrozze presso Villa Niscemi, a Palermo in Piazza dei Quartieri 2, sarà presentato, con il patrocinio del Comune di Palermo, il romanzo “Un paese senza nome” di Emilia Merenda, Edizioni Drepanum. Interverranno: Nino Barone, editore e poeta – Emilia Ricotti, drammaturga e poetessa – Luigi Pio Carmina, poeta – Emilia Merenda, autrice del libro. Coordina l’incontro Evelin Costa.
 
L’ autrice di “Un paese senza nome “Emilia Merenda, dà l’avvio al romanzo, con un incipit ad effetto: Il nonno al centro del terrazzino in attesa della colazione seduto nella sua poltroncina, giacca da camera di panno verde e zuccotto in testa, profumo di fiori appena sbocciati nell’aria, e capisci che quel nonno, sbarbato, profumato con un cappello di feltro d’inverno e di paglia di Firenze d’estate, intento a conversare con qualche passante che si ferma oltre il muretto di recinzione del giardino di casa , non è centrale solo seduto nel terrazzo di casa, ma è centrale nella vita di una famiglia, la cui vicenda si snoda come una saga […] Alla nipote abituata a riconoscere il suo malessere anche da un lieve sospiro, affida tre quarti di secolo in un lungo interminabile monologo dialogico che si sviluppa attraverso un flashback che va alle radici del suo viaggio terreno, il titolo stesso di questo breve romanzo, circonda di un’aura di mistero la vicenda, perché se il tempo è definito, il luogo da cui si diparte la storia appare misterioso […]“Un paese senza nome” dell’autrice Emilia Merenda ha una struttura solida: fanciullezza, viaggio, maturità, che si snoda attraverso un percorso che va alla ricerca di sé per rifondare un mondo, ecco forse è questo l’intento prioritario, quello di rifondare un mondo e da quell’orizzonte, avaro di affetti dove le uniche figure che compaiono sono o gli avventori della bottega o della tabaccheria, fluisce un nuovo mondo, attraverso un percorso obbligato che induce alla conoscenza e al riconoscimento di sé e la fuga – partenza per l’ammissione presso l’Istituto Reale di Marina Mercantile di Palermo […] I percorsi sono tanti da nord a sud, da est a ovest, i mari e le terre altrettanti: il Mediterraneo, Lo stretto di Gibilterra, l’Atlantico, la Manica, il Pacifico, il mare del nord, Pantelleria, Lampedusa, Malta, Gozzo, Napoli, la Dalmazia, Venezia, Calais, le bianche scogliere di Dover, l’Olanda, Oslo, New York, Arcangelo e il mare di Barents, il Brasile […] A conclusione della struttura circolare del romanzo -storico, psicologico e di memoria “Un paese senza nome “ di Emilia Merenda, emerge il ricordo della ragazzina ormai grande che ripenserà a quel giorno sul terrazzino di casa, alle parole del nonno alla nipote abituata a riconoscere il suo malessere anche da un lieve sospiro: “il giorno che non ci sarò più, i miei nipoti mi regaleranno il tempo, tutte le volte che si ricorderanno di me.” E dal mare sale l’odore di fritto di proustiana memoria emanato dalle polpette nell’aria, il fischio del treno, il vento tiepido che accarezza il viso e avvolge le braccia, come uno scialle di seta della bambina in gita col nonno. E il romanzo i questione è il più bel regalo del tempo ad un nonno mai spento. (Tratto dalla presentazione di Emilia Ricotti).
“Erano i primi giorni d’ottobre, la temperatura si manteneva tiepida e la permanenza all’aperto era abbastanza piacevole, ma nonostante ciò, il nonno indossava la sua giacca da camera di panno verde e un copricapo a forma di zuccotto confezionato con lo stesso tessuto della giacca. A differenza degli uomini della sua età, non aveva mai portato la “coppola”.
Durante il periodo invernale, ogni volta che doveva uscire, metteva sulla testa un cappello di feltro, mentre nel periodo estivo usava indossarne uno di paglia di Firenze. Era molto distinto e gli piaceva ancora vestire in maniera moderatamente elegante e nonostante fosse vecchio, era sempre ben sbarbato e profumato.” (Tratto dal romanzo “Un Paese senza nome”).
Emilia Merenda è nata a Palermo nel 1945 coniugata, mamma e nonna. Autodidatta di vasta cultura con due grandi passioni coltivate fin da giovanissima: la lettura e la scrittura. Nota nel settore della poesia vernacolare per gli innumerevoli attestati e premi conseguiti per la partecipazione, negli anni, a prestigiosi concorsi letterari. Alcune sue opere sono inserite in diverse antologie poetiche. Ha pubblicato nel 2014 una silloge di racconti intitolata “Il Capezzale” edita della casa editrice Kimerik di Patti, nel 2015 una raccolta di quarantacinque poesie in italiano con Urso Editore e nel 2016 il romanzo “Un Paese senza nome”, Edizioni Drepanum.