8 Marzo 2017 “Nzemmula- ritratti per la libertà”

 

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“La mostra “’Nzèmmula – Ritratti per la libertà” nasce da un’idea di Caterina Blunda, che si è andata, durante il lavoro di gruppo, arricchendo di spunti, visioni e riflessioni, più che una collettiva è da intendere come un lavoro di gruppo. Il progetto fotografico parte dall’esigenza di denunciare le violenze che ogni giorno le donne subiscono in tutto il mondo, attraverso immagini e frasi in vernacolo siciliano, a rafforzare l’identità linguistica e culturale, frasi “tatuate sui corpi” delle protagoniste e dei protagonisti di questi scatti. Anche nell’Occidente del mondo, dove le lotte femminili hanno migliorato la condizione della donna, la cultura dominante fa vivere la donna in uno stato di subordinazione rispetto all’uomo. Il corpo delle donne è ancora considerato un oggetto da controllare e strumentalizzare, la donna concepita come madonna o angelo del focolare, da venerare disumanizzandola, oppure come donna in carriera che deve imitare l’atteggiamento maschile anche nei suoi aspetti peggiori (questa a volte erroneamente è stata chiamata parità), o come la libertina da denigrare, o come la vittima da piangere. Tutte sfaccettature diverse di una stessa concezione che non riesce a vedere la donna come un essere intero, libero ed autodeterminato.

Le donne che decidono di fare scelte differenti da quelle ordinarie, le donne che non vogliono continuare una relazione, le donne che vogliono una propria indipendenza, sono spesso vittime di uomini, solitamente di ambito familiare, che non riescono ad accettare il rifiuto, a considerare la donna se non come una proprietà da controllare. Sono però vittime non solo del genere maschile, ma di una società tutta, che silenziosamente approva e finge di denunciare solo quando si presenta il caso di una donna uccisa da mano maschile, ma che al contempo ogni giorno condanna la donna quando non sottostà agli schemi della vita che le è stata “assegnata”. Le donne spesso sono vittime anche di se stesse, quando non riescono a distinguere l’amore dal possesso e rimangono prigioniere di relazioni distruttive e quando invece di solidarizzare tra loro diventano rivali e si condannano vicendevolmente, perché incapaci di immaginare un’alternativa, un cambiamento sociale e culturale.

Il sistema quando si erge a “difensore” delle donne, tende ulteriormente a vittimizzarle, a presentarle attraverso i mass media, come ferite, deboli, bisognose di qualcuno che le tuteli, che le protegga, e dalla protezione il passo verso il controllo e la sopraffazione è breve. Ne sminuisce così ulteriormente la forza e la capacità di autodeterminazione, di libertà e di scelta.  Solo un cambiamento culturale che coinvolga tutti i generi migliorerebbe la vita di tutti, perchè una società non è veramente libera se una sua parte non lo è. Un discorso sulla violenza contro le donne serve quindi a sensibilizzare le donne, ma anche gli uomini, perché solo insieme si può cambiare la società.

 

E’ per questo che la mostra “Nzemmula-ritratti per la libertà”, pur partendo dalla condizione di sofferenza e di denuncia, non mette lividi e cicatrici nei visi delle donne e sceglie di rappresentare il riscatto, la rivoluzione della donna che vuole essere libera, che spezza le catene, rivendica la propria bellezza, dolcezza, forza, contraddizioni e complessità. Un viaggio che parte dalla denuncia della violenza sia fisica che psicologica di quello che avviene nella società attuale: “I paroli su petri”, “arsa r’amuri”; lo svelamento dell’illusione che concepisce come amore ciò che amore non è, perché  se l’amore è scelta quotidiana di sostenersi, di costruire un futuro insieme, di comprendersi e valorizzarsi reciprocamente, ciò che mette al centro la gelosia soffocante, lo spirito proprietario dell’uno verso l’altro, la violenza al posto delle carezze, non può essere chiamato amore: “O mia o di nuddu”, “Pareva un pezzu ri pani”, sono la negazione dell’amore. Il viaggio continua nella voglia di affermazione di se, di rompere il silenzio, di spezzare la propria complicità con la mentalità patriarcale, di scegliere di essere se stessa: “a fimmina nun si tocca mancu c’un ciuri”, la donna finalmente con le forbici taglia un filo che le teneva “a vucca cusuta”, e dichiara: “sugnu chiossai, sugnu libirtà … e nun vogghiu chiù catini”. Per concludere la donna decide di rompere i muri fisici e virtuali che attanagliano la società, muri che separano i generi, muri di silenzio, di ignoranza, di paura, di razzismo, di separazione ed emarginazione: “Sdirrubbamu sti mura”, perché una società in cui le persone sono separate tra loro, se diverse, non è una società felice.

Si esprime quindi il coraggio delle donne che cercano di essere protagoniste della propria vita, di sostenersi tra loro, di cambiare in positivo la realtà, a partire dalle proprie facoltà di accoglienza, solidarietà e cura dell’altro. In questo percorso fotografico si è voluta mettere in risalto anche l’esistenza di una parte del genere maschile che non è violenta, brutale e opprimente, ma che vuole cambiare, che solidarizza con la donna, uomini che a volte sono vittime essi stessi del maschilismo. Quando non si allineano nel ruolo dei dominatori che decidono e comandano, vengono spesso bullizzati e ridicolizzati. Si raffigura quindi anche il coraggio di quegli uomini che decidono di mettere in discussione se stessi e i privilegi dell’appartenere a un genere finora avvantaggiato e dominante, scegliendo di solidarizzare con le donne e di mettere in campo la propria sensibilità, in contrapposizione alla violenza.  Dall’uomo che cercando dentro se stesso si domanda se è “omu o bestia”, all’uomo riflessivo che vuole mettere fine al mutismo di genere: “Fussi ura ri parrarini!”, all’uomo che dona il suo amore senza pretendere nulla perché: “u cori nun s’accatta e nun si vinni, si runa”, all’uomo che sceglie di uscire dall’oscuro e afferma: “Putemu canciare”.  Un’esigenza, quella di raffigurare gli uomini, che vuole sottolineare quanto la battaglia delle donne non sia una lotta delle donne contro gli uomini, ma di tutti contro il maschilismo, perché il cambiamento va fatto insieme, per la libertà e la ricerca dell’armonia tra i generi.

Nasce così e si sviluppa un connubio tra i quattro fotografi Caterina Blunda, Pino Manzella, Nicola Palazzolo e Massimo Russo Tramontana e i soggetti fotografati, dodici tra donne e uomini che hanno scelto di mettere in questo percorso comune la propria faccia, ma anche il proprio contributo ideale ed i propri pensieri. Otto donne e quattro uomini interpretati secondo le differenti visioni degli artisti, per affrontare un viaggio fotografico, di luci ed ombre, di equilibri e contrasti, di sguardi e gesti, parole e simboli, che partendo dalla sofferenza arrivi ad una più profonda consapevolezza di sé e ad una nuova relazione con l’alterità e la diversità.”

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25 Novembre a Cinisi contro la violenza sulle donne

20151125_220251Ieri sera 25 Novembre a Cinisi è stata realizzata un’iniziativa di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne. E’ stato un momento davvero emozionante e significativo, hanno partecipato più di centoventi persone all’interno del Salone Comunale, un “pubblico” concentrato, composto, attento e coinvolto.

E’ difficile per me raccontare questa serata perchè il coinvolgimento emotivo è stato grande visto che ho avuto la possibilità insieme ad altre donne (eravamo otto in tutto) di costruire questo momento di impegno. Grazie all’iniziativa, alla volontà e allo stimolo di Francesca Randazzo, in una sola settimana di tempo abbiamo organizzato questo momento, scelto i monologhi tratti dal libro di Serena Dandini “Ferite a morte”, provato  tra noi a capire come interpretarli, dandoci forza reciproca.I nostri  incontri, pochi ma intensi, sono stati molto belli, abbiamo avuto modo di confrontarci e trovare un pensiero che ci accomunasse, un’esperienza per me indimenticabile.

La serata è stata molto commovente, non avrei mai immaginato una simile partecipazione. La scenografia semplice è stata arricchita da una meravigliosa installazione realizzata da Cristina Cucinella, abbiamo avuto il sostegno di Antonio Riccobono che ha curato audio e luci, e per concludere l’intervento di Giusi Chirco che si impegna nell’associazione Le Onde onlus a sostegno delle donne vittime di violenza. Questa iniziativa ha aderito anche a http://www.postoccupato.org  che occupando un posto ormai vuoto vuole ricordare le donne che oggi non sono più presenti ad occupare quel posto.

Fondamentale è stato il passaparola di amici e  la collaborazione di tante testate on line e cartacee  che hanno diffuso l’evento ed hanno partecipato alla serata (cinisionline, iltarlo, terrasinioggi che ha pubblicato il video )  e che voglio ringraziare eccone alcune: il tarlo  teleoccidente  qlnews  terrasinioggi  malgradotutto  cinisionline  balarm   siciliafan palermotoday   lapisnet  gazzettapalermitana repubblicapalermo thinkdonna  donnainaffari  siciliaedonna  ed il Giornale di Siciliagds

Voglio condividere qui l’introduzione che ho scritto per aprire la serata, un testo nato dopo alcune riflessioni tra noi donne e protagoniste, compagne di viaggio che non smetterò mai di ringraziare: Francesca Randazzo, Margherita Galati, Maria Grazia Vitale, Cristina Cucinella, Vera Abbate, Giulia Valenza, Chiara Mangiapane.

Introduzione:

Il 25 Novembre è la  giornata internazionale contro la violenza sulle donne, questa data è stata istituita nel  1999 dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite, in ricordo del terribile assassinio delle tre sorelle Mirabal avvenuto durante il regime domenicano nel 1960. Queste tre donne, furono torturate e uccise  dagli agenti del Servizio di informazione militare mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione.

Durante questa giornata in tutto il mondo si svolgono iniziative per sensibilizzare le donne ed anche gli uomini su questo tema, per non dimenticare le vittime, per denunciare una realtà che spesso si preferisce nascondere, ma soprattutto per riflettere sulla possibilità di trasformare una cultura che malgrado i cambiamenti già in atto è ancora di tipo patriarcale: fondata sul possesso, sulla prevaricazione, sulla violenza. Un sistema in forte crisi, ma che continua a mietere vittime. I ruoli tradizionali cominciano a saltare, si vive una crisi complessiva, valoriale ed economica, col precariato e tante paure quotidiane. La donna ha imparato a lottare per la propria libertà e autonomia,  molti uomini hanno cominciato a relazionarsi positivamente con questi cambiamenti, ma molti altri vivono una crisi di identità, una frustrazione di fronte agli stereotipi che li vorrebbero ancora come i protettori della famiglia, ma che non riescono più a concretizzare. Non sanno gestire il fallimento, la separazione, l’abbandono, non riescono a concepire che ogni relazione umana necessita di consenso reciproco  e di fronte al dolore, alla rabbia,  all’offesa l’unica strada che trovano è la violenza.

Purtroppo spesso anche le donne si sono fatte complici di questa mentalità patriarcale perché non riescono a concepire un cambiamento sociale e culturale. Sono  le madri che proteggono i figli violenti contro le loro compagne, le donne che invece di solidarizzare con altre donne le giudicano male se solo queste scelgono una strada diversa dalle regole prestabilite. Quelle che tacciono di fronte ad una violenza e pensano che forse quel ceffone dal marito la donna se lo sia meritato, perché se una ragazza lascia o tradisce il fidanzato, se  non si comporta bene in casa, se è una “rovinafamiglie”, viene  vista come una poco di buono a cui forse almeno il padre avrebbe dovuto dare qualche schiaffone per raddrizzarla, per educarla, mentre bisogna ricordare che se si educa con la  violenza si educa alla violenza, a subirla e a farla. Questo avviene anche in paesi più lontani da noi. In alcuni paesi dell’Africa sono le mamme, le  nonne a imporre alle donne più giovani la pratica dell’infibulazione, nata per togliere il piacere alla donna, perché “non è giusto” che la  donna lo provi. Purtroppo anche le importantissime lotte delle donne che hanno permesso che si ottenessero molti  diritti fino ad alcuni anni fa impensabili, a volte hanno creato un’eccessiva contrapposizione tra generi, o hanno riproposto anche per le donne solo modelli maschili, gli stessi che venivano criticati anche nell’uomo.

Un  discorso sulla violenza sulle donne serve a sensibilizzare le donne, ma anche gli uomini, perché solo insieme si può cambiare la società, non contro ma insieme. Però per farlo bisogna prima guardare in faccia la realtà. I dati, le statistiche purtroppo ci raccontano che in tutto il mondo le donne subiscono violenze dagli uomini, mariti, ex, padri, fratelli, amici. Vengono uccise, violentate, oppresse, molestate. In Italia ogni due tre giorni c’è una nuova vittima, una donna uccisa da un uomo. Finchè esiste una donna che deve avere paura di uscire da sola per strada, finchè esiste una donna licenziata perché incinta, finchè una donna muore perché lascia il proprio marito o fidanzato, viene picchiata nelle strade in cui si prostituisce e quasi mai per scelta, viene costretta a non studiare, bisognerà lottare per cambiare le cose, perché una società non è libera veramente se esiste una categoria sottomessa, una società così non è sana, non può cambiare da sola o per evoluzione.

E’ stato molto difficile in questi anni parlare delle vittime del così detto femminicidio, riconoscerle, sensibilizzare su questo fenomeno così brutale. Oggi i mass media elencano le vittime come fossero numeri, in questa società che  vuole annullare le persone, le donne subiscono ancora di più. Se fa comodo la loro vita viene morbosamente scandagliata per fare audience. Secondo i casi vengono dipinte come carnefici, o più spesso come vittime da proteggere, ma mai come intere, complesse, capaci di scegliere a volte bene a volte male. La donna ha il diritto di essere ciò che  è,  di essere non una vittima da custodire, ma semplicemente una persona libera di autodeterminarsi come tutti.  Questo fa molta più paura, ma non bisogna rassegnarsi alla paura, al terrore.

Il libro di cui leggeremo alcuni brani è stato scritto da Serena Dandini, si intitola “Ferite a morte” ed è basato su storie vere. Si dà voce alle vittime, morti spesso preannunciate. L’intento è di dare voce a chi non c’è più, a chi la voce è stata tolta soltanto per aver scelto un’altra strada, per aver detto no o per non aver saputo dirlo, perché non è sempre facile.

Le donne vittime di violenza vanno ricordate non per creare uno  schieramento donne contro uomini o viceversa,  intanto perché la violenza  non è giustificabile da nessuno e su nessuno e poi perché queste donne  non sono vittime solamente degli uomini, queste donne  vengono uccise dalla società che ha armato la mano maschile con i suoi disvalori. La società è complice ed assassina quando tace, quando alimenta la logica del possesso, quando definisce questi omicidi come raptus di follia, quando ha permesso che fino al 1981 esistesse ancora il delitto d’onore, quando non sostiene le donne che denunciano, quando taglia i finanziamenti alle case per le donne vittime e alle associazioni che lottano ogni giorno in difesa delle donne, quando non le sostiene economicamente nel momento in cui dovrebbero allontanarsi dal pericolo, quando ironizza,  quando fa provare vergogna ed anche quando ridicolizza un uomo se si comporta come una donna o viceversa,  quando parla solo di odio, guerra e violenza,  e poco di armonia e pace, quando non insegna ai propri figli e alle proprie figlie a cambiare, a rispettare l’altro e l’altra. Siamo tutti complici, ma possiamo cambiare. Donne e uomini insieme.

 

 

 

“Virgo et Virago” mostra a Cinisi. Intervista a Vinny Scorsone

All’inaugurazione della seconda tappa della mostra “Virgo et Virago”, che in questi giorni è visitabile presso lo spazio espositivo di “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” in Corso Umberto 183 a Cinisi, incontro la curatrice Vinny Scorsone che ha presentato questa mostra con un testo che analizza la donna da due prospettive differenti, quella di vittima e quella di carnefice.

Una visione interessante che si inserisce in un dibattito aperto rispetto al rapporto tra i generi. La prima tappa di questa mostra, tenutasi a Palermo, ha avuto come data di inizio proprio l’8 Marzo, il giorno dedicato alla donna, nel quale negli ultimi anni è prevalso da un lato l’aspetto della festa, dove le rivendicazioni femminili degli anni passati sono state sostituite da un atteggiamento di sfogo e divertimento a volte fine a se stesso, dall’altro lato quello di cordoglio collettivo, di conta delle vittime, con il rischio che, quello femminile venga concepito solo come il genere da difendere e tutelare da parte dello Stato, subordinandolo quindi nuovamente ad una condizione di minorità.

La Mostra “Virgo et Virago” mette in luce qualcosa di diverso, aspetti a cui solitamente si preferisce non guardare, una visione antropologica secondo cui nella donna e non solo nell’uomo, possono essere rintracciati sia il bene che il male, l’essere vittima e l’essere carnefice, caratteristiche innate nell’umanità che poi è la cultura a far prevalere o soccombere. CONTINUA