Recensione di Malavita, donne tra oppressione e riscatto

MALAVITA di Giankarim De Caro edito da Navarra Editore è un romanzo avvincente, toccante, coinvolgente. Il linguaggio diretto e privo di orpelli lo rende scorrevole ed autentico, ne emerge uno sguardo dell’autore essenziale, empatico, ma mai invadente.

Le protagoniste sono donne non edulcorate, non eroine, non donne pure, idealizzate, non madri amorevoli protettrici del focolare domestico. Sono donne intere, piene di contraddizioni e miserie, limiti e sbagli, provate dalla vita, investite da un destino quasi inevitabile causato da una condizione di povertà e da un degrado materiale e valoriale da cui è difficile, quasi impossibile strapparsi fuori. Non sono però semplici vittime, sono oppresse, ma non arrendevoli, cercano di afferrare la propria amara vita, non tanto per cambiarla, quanto per esserne protagoniste, nel bene e nel male. Anche se non possono decidere il proprio destino e anche se condizionate dal contesto storico e sociale in cui vivono fanno scelte libere, schiacciate e calpestate continuano a resistere. Quando, ad esempio, cercano di proteggere il proprio nucleo familiare lo fanno senza risparmiarsi, all’occhio di tanti in modo riprovevole, cedendo al compromesso, ma lo fanno senza cercare consensi popolari, senza ipocrisie, causando dolore ai propri cari, ma la vita non è mai clemente con loro, nulla viene risparmiato, pagano tutto a caro prezzo, la vita è sempre crudele e tiranna.

Le protagoniste del romanzo, la mamma Lucia e le figlie Provvidenza, Pipina e Grazia sono prostitute, Lucia si ritrova in questa condizione quasi come per una condanna che la vita le ha inferto da innocente, non c’è possibilità di scampo per lei, il suo ruolo di subalterna, di donna bambina indigente, di figlia di serva, la pone in balia del potere maschile, la rende sola, vittima sacrificale della bramosia della nobiltà. Una classe, quella dei nobili, che ritiene di poter disporre di tutto, anche di un giovane corpo femminile, perché le donne, per lo più povere sono niente in quel sistema: prese, vendute e cedute a piacimento. Anche gli uomini del popolo non sono da meno, perché la violenza del genere maschile su quello femminile supera le differenze sociali. Le figlie di Lucia soccomberanno al medesimo destino. Chi costretta, chi accettando i benefici della propria sorte.

La prostituzione nel romanzo è una condizione da cui non ci si può mai affrancare “chi è pulla (prostituta) lo sarà per sempre”.

Queste donne non sono mai trattate dall’autore con moralismo, anche quando la malattia, il disagio psicologico, la costrizione, la violenza, il compromesso ne annulleranno l’integrità intima e fisica, non sono mai giudicate. Si entra in contatto con loro, senza giustificazioni e senza colpevolizzazioni, ascoltandone la voce, le parole dette e anche quelle che non possono essere pronunziate.

Palermo emerge in tutta la sua opulenza ed il suo degrado. C’è un costante dialogo tra i bassi fondi e i luoghi della nobiltà, una nobiltà che è immorale e bassa più della società popolana, maltrattata, povera e degradata.

L’anomala saga familiare ha come sfondo gli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, la guerra e il dopo guerra. Anni di grande sofferenza, poveri e senza riscatto, La guerra è l’apoteosi del dolore, metafora di tutta una storia che parla di distruzione. I bombardamenti annullano la speranza di un vero riscatto ed il popolo ignorante e devastato è pronto anche ad inneggiare il proprio carnefice per un tozzo di pane e cioccolato. Cambia solo il nome dell’oppressore, ma non c’è una reale liberazione per un popolo da sempre vessato, abituato a cedere, a soccombere, ad accettare il compromesso in cambio della salvezza. La guerra non rappresenta una catarsi e la libertà non si impone con le bombe. La guerra è solo morte fisica e spirituale e da essa non potrà mai nascere una reale redenzione. E quindi ci si domanda, alla fine di tutto, se c’è e ci sarà mai la possibilità di un vero affrancamento per i poveri, per le donne, per gli ultimi, per chi soffre e su quali basi è stato costruito il nostro futuro.

Evelin Costa

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Mostra di Giovanni Panarese Kromumory 2018

Mostra visitabile fino all’1 Marzo 2018, tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00  presso il Margaret Cafè, in Via V. Madonia 93 a Terrasini (PA).

Kromumory

Testo di Evelin Costa

“Kromumory 2018 è un percorso pittorico in cui l’artista entra in connessione con l’osservatore, non solo per comunicargli il proprio stato interiore ed il proprio umore, ma per suscitarne le rispettive emozioni innate, inconsce e per stimolarne l’immaginazione attraverso figure indefinite, ma che ad un livello mentale, oltre ciò che percepiscono gli organi di senso, divengono limpide e perfette. Un collegamento, quello che lega l’autore e il fruitore, che ben presto diventa un gioco reciproco di scoperte, nascondimenti, ricerche e possibilità.

Giovanni Panarese, con le sue esplosioni cromatiche, cerca di allontanarsi dal figurativo senza farlo del tutto, come se le figure nascessero autonomamente dai suoi colpi netti di spatola e lui volesse respingerle, imprigionarle e paradossalmente fermandole le rende epiche, emblematiche, liriche.

Tra colori caldi, luci, ombre, tagli, squarci di colore emergono grafie nitide che reinterpretano in chiave informale ciò che potrebbe essere espresso tramite un descrittivismo figurativo. Il turbinio di colori non prende il sopravvento e non toglie mai posto all’ armonia cromatica e ad un equilibrio che rende l’astratto chiaro, comprensibile e mai caotico.

Emergono paesaggi galattici e terrestri. Un canneto si staglia tra il cielo ed il letto di un fiume, tra due sponde selvagge scorre lento un corso d’acqua o magma, palme e vegetazioni tropicali si intrecciano e si arrampicano verso l’alto. Uscendo quasi dalle viscere del quadro, dalla profondità della pittura materica e densa, si distaccano personaggi che mai sono inquietanti, di sovente ironici, sempre positivi, suscitano pensieri gioiosi, perché Giovanni Panarese non dipinge mostri interiori, ma esorcizza le sofferenze facendo affiorare il sorriso. I suoi personaggi, sia che possano essere interpretati come insetti, crostacei, cavallucci marini, unicorni, rettili, galli o come icari volanti, equilibristi, angeli terrestri, sono sempre vivaci, gentili, simpatici, forse combattenti, come samurai giapponesi o guerrieri masai, ma quando lottano lo fanno per il proprio riscatto personale, per la difesa della propria vita e mai contro gli altri.

Una pittura in costante divenire, che si compone di tasselli privi di confini, che nasce per dar sfogo ad un umore momentaneo, procede come in uno stato di trance, diviene magmatica e dirompente, tumultuosa ed incessante e si conclude quando ogni opera ha assunto una vita autonoma, libera e benefica. “

Giovanni Panarese, nato a Palermo nel 1965, ha frequentato il Liceo Artistico. Fin da bambino ha vissuto tra le tele ed i colori che si trovavano nello studio pittorico del nonno materno, appassionandosi lui stesso alla pittura, ma allontanandosi dalla pittura classica e formale, alla ricerca di un percorso personale nell’arte informale. Dipinge con colori acrilici su tela e disegna con colori, penne, china e matite su ogni superficie che glielo permetta. Tra le sue mostre, la personale realizzata a Palermo nel 2001 presso il centro polivalente Agricantus, inserita nel progetto ccp vision sponsorizzato dalla Provincia Regionale di Palermo e a Gela nel 2007 la mostra intitolata “Quel che resta…” con Aaron Wadia, nell’ambito di un progetto per la promozione e diffusione della Cultura Mediterranea.

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CIAO PEPPI’ ed altre irriverenze, prolungata di qualche altro giorno la mostra di Pino Manzella al Margaret Cafè

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CIAO PEPPI’ ed altre irriverenze…

di  Evelin Costa

Pino Manzella, pittore siciliano, tra i fondatori del Circolo Musica e Cultura a Cinisi, amico e compagno di lotta di Peppino Impastato, ha dedicato tutta la sua vita e la sua poetica artistica a mantenere vivo il ricordo di Peppino e di quell’impegno contro la mafia e per la trasformazione dell’esistente, intrapreso negli anni ’70 in provincia di Palermo da giovani che, in una realtà non facile perché la  mafia controllava il territorio e si insinuava nei gangli della politica e della società, volevano fuoriuscire dagli schemi tradizionali.

L’impegno artistico di Pino Manzella nasce come espressione “militante”, un modo per interpretare la realtà. I suoi primi disegni erano vignette disegnate a mano nei bollettini poi ciclostilati con cui si faceva volantinaggio, illustrazioni di manifesti, copertine per i giornalini che passavano di mano in mano tra i giovani compagni. Spesso questi disegni non erano firmati perché in quegli anni si dava maggior peso al valore della collettività piuttosto che all’individualismo.

Pino Manzella espone, dopo quasi quarant’anni dalla morte per mano mafiosa di Peppino Impastato, una selezione delle sue vignette realizzate a partire dagli anni ’70 fino alla più recente del 2011, ritrovate tra vecchi documenti, giornali, manifesti e locandine conservati nel suo studio di pittore impegnato e custode di una memoria sempre viva e soprattutto sempre attuale, perché profondamente legata al bisogno di trasformazione e di libertà. L’autore dedica la mostra a Peppino la cui vita e la cui morte hanno segnato visceralmente tutto il corso della sua esistenza, come quella di coloro che di questa storia sono stati partecipi e che malgrado la sofferenza hanno mantenuto alta la testa e non hanno smesso di lottare.

Le vignette che Manzella espone sono solo una piccola parte della sua grande produzione. La più antica di questa mostra è del ’74, si tratta della prima parte di uno studio di vignette suddiviso in tre momenti, ieri, oggi e domani, facenti parte di un manifesto che denunciava la corruzione all’interno dell’ufficio di collocamento per i posti di lavoro in aeroporto, per mezzo di un esponente dell’MSI. Uno dei manifesti affissi venne strappato da un gruppo di giovani fascisti provocando una lite, è un episodio in cui si racconta intervenne Felicia, mamma di Peppino per difendere il figlio.  Le altre vignette meno recenti fanno parte di alcuni numeri del Bollettino intitolato “Nove Maggio”, le successive, che attraversano gli anni ’80, ’90 ed il 2000, erano pubblicate nel giornale cartaceo Terrasini Oggi/Cinisi Oggi.

Emerge l’umorismo satirico, pungente, irriverente e dissacratorio dell’autore, che affonda la sua matita nella realtà affrontando tematiche senza tempo che parlano di rapporti mafia-politica, corruzione, appalti truccati, compravendita di voti e di posti di lavoro, raccontano le inefficienze, il trasformismo  ed i compromessi della politica, di sovente più interessata al mantenimento del potere e delle poltrone piuttosto che al bene comune,  un’attitudine permessa anche  dalla complicità, dall’indifferenza e dalla rassegnazione da parte del cosiddetto “popolino”, sempre utilizzato e contemporaneamente disprezzato dai dominanti. Così i protagonisti delle vignette, alle volte si tratta di Totò e Vicè, citando i personaggi di Franco Scaldati, che commentano il giornale al bar sport, raccontano vicende locali riguardanti l’immondizia, il pennello a mare, il porto, il depuratore, il piano regolatore, l’accesso al mare negato al pubblico, oppure quelle opere mai realizzate o inutili che hanno causato un dispendio dei fondi pubblici e una deturpazione dell’ambiente. Tutto interpretato con un tono sarcastico e tagliente, accompagnato da battute dirette e sferzanti che strappano ancora oggi, dopo alcuni o molti anni, una risata amara, perché sviscerano i meccanismi più intricati di una realtà che ancora non è del tutto cambiata.

Tra le vignette ce ne sono alcune che entrano dentro la storia di Peppino, raccontano le indagini del processo successivo alla sua uccisione, rievocano il coraggio dei microfoni di Radio Aut e di quei giovani che con il loro “giornalaccio” sfidavano il potere rischiando anche la vita. E c’è la dedica a Peppino che come un angelo laico continua a lottare dall’alto, con il suo palloncino che è a forma di mondo, perché è dal mondo che bisogna partire ed è il mondo che, lottando, pensando ed a volte anche ridendo, bisogna trasformare.

La mostra sarà visitabile fino al 3 Giugno 2017 presso il Margaret Cafè in Via V. Madonia 93, Terrasini (PA)f 1

Carmelo Pecora presenta “Tre ragazzi in cerca di avventure e sette racconti” a Terrasini

Sabato 1 Aprile 2017 alle ore 17.00 presso il Margaret Cafè in Via Madonia 93 a Terrasini (PA), Carmelo Pecora presenterà il suo libro , CartaCanta Editore.

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Carmelo Pecora, che attualmente vive in Emilia Romagna, si trova in questi giorni ad Enna, sua città d’origine, dove una scuola ha adottato il suo nuovo libro. Siamo felici di averlo con noi a Terrasini visto il suo legame con il nostro territorio, lo scorso anno è stato a Cinisi dove a presentato L’urlo di Maggio, il suo reading teatrale tratto dal libro  9 maggio ’78 – Il Giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato. Anche in questa occasione si aprirà uno scambio rispetto a questa tematica.

All’evento coordinato da Evelin Costa, sarà presente l’autore del libro ed interverrà Pino Manzella. Saranno proposte alcune letture.

L’evento è promosso dall’associazione Asadin con la collaborazione di Evelin Costa.

Carmelo PecoraCarmelo Pecora (Enna, 1959) è un ex ispettore capo della Polizia scientifica. In ambito letterario ha al suo attivo diverse pubblicazioni tra cui: 9 maggio ’78 – Il Giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato (Editrice Zona, 2007) che ha ricevuto il Premio speciale al concorso Com&Te e dal quale è stato tratto il reading teatrale L’Urlo di Maggio; Polvere negli occhi sulla strage alla stazione di Bologna (Editrice Zona, 2009), Ustica, confessioni di un angelo caduto (Editrice Zona, 2011) e Gli infedeli – storie e domande della Uno bianca (Editrice Zona 2014).

Enna, nel cuore della Sicilia, tre ragazzini di tredici anni, un po’ per gioco un po’ per scommessa, scappano di casa e decidono di intraprendere un viaggio che possa portarli lontano, magari in America. Tra mille peripezie arrivano a Palermo, una città mai vista e all’apparenza lontanissima, da dove cercano di imbarcarsi su una nave e dare così inizio a una avventura ancora più incredibile. Molti anni dopo, uno dei tre, diventato responsabile della Polizia scientifica si trova di fronte a una situazione simile: Margherita, una sedicenne pugliese, abbandona la sua famiglia e parte alla volta di Milano per rincorrere un sogno. Durante le procedure di identificazione, i ricordi, inevitabilmente, si faranno spazio nella mente del capo della Polizia scientifica e tutto sembrerà tornare, per qualche ora, a quel lontano 1971.

Un romanzo breve e sette racconti che sono un inno alla libertà e al senso di responsabilità che nel corso della vita accompagnano le nostre scelte, al desiderio di un mondo più giusto che alberga nel cuore di chi ogni giorno si impegna per un futuro migliore.

 

Eco-logico, mostra di manifesti ecosostenibili ad Alcamo

All’interno della collettiva “Eco-logico, manifesti ecosostenibili” che si terrà ad Alcamo presso il Centro Congressi Marconi alle 17.00 dedicata al rispetto dell’ambiente, ci sarà il mio quadro “Abbraccia la natura”. Vi aspetto!

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Comunicato Stampa

Sarà inaugurata sabato 5 dicembre alle ore 17:00 presso il Centro Congressi Marconi- sala Rubino  Alcamo (TP) la mostra itinerante Eco-Logico Manifesti eco-sostenibili. La mostra a cura dell’associazione culturale RicercArte, con il patrocinio del comune di Alcamo, nasce da un’idea del direttore artistico Naire Feo. Testi di Giovanna Calabretta, Lea Di Salvo. Correzione bozze Piera Ingargiola, ufficio stampa  Bartolomeo Conciauro,  PR  Evelin Costa, Anna Scorsone, foto in catalogo fornite degli artisti, Catalogo virtuale a cura di TrapaniCalabretta.

 

                                   

CONCEPT:  L’Associazione culturale RicercArte, attenta alla promozione artistica in chiave sociale, culturale ed ambientale, propone un progetto finalizzato alla riflessione e alla sensibilizzazione  attorno al tema della sostenibilità del nostro vivere contemporaneo, in un dialogo surreale con le generazioni future. Ecologia è una parola che deriva dal greco e si traduce come “discorso sull’ambiente” e adoperare il manifesto come supporto del discorso non è una scelta casuale.

Nato al tempo della rivoluzione industriale e dei primi consumi di massa, il manifesto sin dagli albori della sua storia si è posto come strumento di propaganda per incrementare la vendita di merci ed è quindi lo strumento che il capitalismo ha utilizzato per promuovere la filosofia del compra, usa e getta.

Toulouse Lautrec con i suoi manifesti ha dato poi un ampia dimostrazione di come l’arte possa esprimersi egregiamente con questo strumento. Opera di creatività destinata ad essere letta e compresa da un pubblico vasto ed eterogeneo, si avvale di un sistema di segni, di messaggi cromatici frutto di esperienze che sono contemporaneamente individuali e collettive.

Ed è proprio questa sua necessità di avere dei contenuti da comunicare a molti mediante un linguaggio comprensibile, che ha reso ai nostri occhi lampante come il manifesto potesse costituire un veicolo di idee e di prese di posizione, di sogni e desideri attorno alle nuove esigenze di tutela e di consapevolezza su temi economico-ambientali.

 

 

Gli Artisti: Luciana Anelli, Rossella Andriani, Nino Belmonte, Eugenia Bramanti, Evelin Costa, Enza Grillo, Antonietta Mazzamuto, Maria Laura Riccobono, Angela Sarzana,Vincenzo Settipani, Nancy Sofia,Giuseppe Viviano.

 

 

Presentazione del libro “La notte di Silvia”, romanzo d’esordio di Stefania Parmeggiani a Terrasini

In questi giorni sto collaborando alla realizzazione della presentazione del libro “La notte di Silvia” scritto dalla giornalista Stefania Parmeggiani e presentato insieme a lei dalla giornalista Daniela Tornatore. Questo evento è stato ideato ed organizzato da Terrasini Oggi con la collaborazione del Margaret Cafè.

Vi invito tutti e tutte e spero che questi momenti di riflessione culturale e di aggregazione possano essere utili a ognuno di noi e ridarci la linfa vitale che serve a vivere meglio.

Evelin

Ecco sotto l’invito:

Volevamo invitarvi mercoledì 16 Settembre alle ore 18.30 presso il Margaret Cafè in Via Madonia 93 a Terrasini (PA), alla presentazione del libro “La notte di Silvia”, Castelvecchi Editore, romanzo d’esordio di Stefania Parmeggiani. Presenta la giornalista Daniela Tornatore.

“La notte di Silvia” è un romanzo ispirato ad un fatto di cronaca nera accaduto nel gennaio 1999. Il corpo di una giovane donna di origini albanesi veniva ritrovato lungo l’A14 nel tratto Cattolica-Riccione, l’omicidio si presentava come una vera esecuzione compiuta con un colpo di pistola alla tempia. Si sviluppa da qui l’opera prima di Stefania Parmeggiani che racconta e ricostruisce, attraverso la voce del magistrato che indaga, la storia di Silvia, una diciottenne in fuga dal proprio paese di origine, un paese devastato dalla guerra civile e dalle sue conseguenze. Un viaggio verso un possibile riscatto, la libertà e la speranza di una vita migliore. Silvia si troverà invece coinvolta nella malavita italiana, in giri di prostituzione e traffico di cocaina, di cui diventerà lei stessa uno dei tanti corrieri. Il maggiore sospettato del suo omicidio, il fidanzato italiano, un rapinatore coinvolto nella guerra di bande criminali. Una riflessione sulla spietatezza della ferocia della vita che non lascia spesso speranze e possibilità di affrancamento a chi cerca una via di fuga dalla disperazione.

Stefania Parmeggiani è nata a Rimini nel 1977, è una giornalista della «Repubblica». In precedenza ha collaborato per il «Corriere Romagna» e «l’Unità» come cronista di nera e giudiziaria. Dal 2011 vive e lavora a Roma dove si occupa di editoria, cultura digitale e nuove forme di narrazione crossmediale. La notte di Silvia è il suo primo romanzo.

Durante l’evento l’aperitivo sarà offerto dal Margaret Cafè.

L’evento è curato e organizzato da Terrasini Oggi con la collaborazione del Margaret Cafè.

Se parteciperete alla presentazione del libro giorno 16 Settembre avrete anche l’occasione di vedere all’interno della sala espositiva del Margaret Cafè la mostra “Metamorfosi” mia e di Pino Manzella, ancora in esposizione per almeno una settimana.

A fuitina

La fuitina è un fenomeno di costume tipico della Sicilia e di Palermo.
Questo fenomeno avveniva soprattutto nel passato, ma in altre forme e con differenti modalità avviene ancora oggi (anche se circoscritto nei quartieri più popolari, che comunque raccolgono una grossa fetta del popolo palermitano).

La fuitina potrebbe somigliare a quella che in altri luoghi viene detta fuga d’amore, due innamorati contrastati dalle famiglie che scappano per coronare il loro amore.

In realtà il fenomeno di cui parliamo è un po’ più controverso e complesso.
Il termine fuitina riassume differenti comportamenti.
La fuga d’amore è uno di questi, ma non ne rappresenta al pieno la sua la peculiarità.
L’elemento scatenante principale è il fattore economico e sociale.

Capitava infatti che fuggissero coppie “fidanzate in casa” da anni, col benestare delle famiglie.
Se mancava il contrasto cosa giustificava la fuga?
Spesso queste coppie erano costrette ad aspettare tanti anni prima di potersi sposare per diversi motivi.

Ad esempio era possibile che si attendessero i matrimoni di altri fratelli o sorelle maggiori (era d’uso che ci fosse una sorta di graduatoria per sposarsi. Prima le donne, dopo i fratelli maschi, poi secondo l’età).
Se si aveva la “sfortuna” di avere una sorella maggiore “zitella” l’attesa poteva protrarsi per molto tempo.

Altri motivi erano legati al fattore economico. Il matrimonio costava (e costa tutt’oggi) molto, sia il giorno in sé (ed ancora oggi molte famiglie si indebitano pur di fare una bella figura), ma anche tutto quello che comportava la stipula di questo contratto. Le famiglie si accordavano sulla dote (“a duota”), di cui la sposina doveva essere in possesso (in genere biancheria ricamata), o la casa e il mobilio che spesso toccavano al futuro sposo (oltre che uno stipendio fisso).

Spesso serviva del tempo per mettere da parte il denaro necessario e se si era in un momento di ristrettezze (se per esempio la famiglia stava già spendendo molti soldi per organizzare il matrimonio di un altro congiunto) il matrimonio veniva posticipato.

Così avveniva “il bello”, il colpo di scena, cioè quello che rende peculiare la fuitina: la complicità delle stesse famiglie.
Nella maggior parte dei casi , complice dei fuggiaschi (“fuiuti”) era una sola delle due famiglie coinvolte, quella in maggiori difficoltà, ma capitavano addirittura casi in cui entrambe le famiglie erano complici e un po’ come in una farsa teatrale, ognuno recitava la propria parte.

Spesso le famiglie si rendevano conto delle difficoltà dei futuri sposi (ad esempio la madre della ragazza temeva l’avanzare dell’età della figlia) o avevano un reale problema economico, ma se avessero optato per un matrimonio meno fastoso e più frettoloso, “la gente”,avrebbe pensato male (che erano poveri, indebitati etc, oppure potevano dubitare dell’”integrità” morale della sposina che “magari poteva essere già incinta”, vista la rapidità delle nozze). Tutto ciò avrebbe colpito l’orgoglio delle famiglie, che per salvarsi rispetto all’occhio e alla bocca di popolo, preferivano sfruttare l’opportunità che la fuitina dava per risparmiare, per affrettare i tempi, per salvare l’onore delle famiglie (prima disonorato e poi riparato).

C’erano altri casi per cui gli innamorati non potevano sposarsi o almeno “fidanzarsi in casa”. La minore età, qualche contrasto tra famiglie, oppure l’impossibilità a frequentarsi perché per qualche caso della sorte, mancavano madri o zie che sorvegliassero i due giovani durante il fidanzamento.
In questi ed altri casi si organizzava la fuga, ma quasi sempre con la complicità di qualche parente.

La fuitina si svolgeva secondo le medesime modalità.
I due si organizzavano tramite bigliettini consegnati dai complici (fortunatamente niente a che vedere con i “pizzini” più noti oggi…), si davano appuntamento e scappavano (spesso venivano ospitati da una nonna , una zia o una delle due famiglie), “consumavano il matrimonio” (pena il possibile fallimento di tutto).
Seguiva la telefonata del fidanzato alla famiglia di lei (“buongiorno mi fuivu a so figghia”) con relativa arrabbiatura del padre, “sdillinchio”(attacco finto isterico) della madre (che spesso sapeva tutto), riunione di famiglia. Lo sposino avvisava anche la propria famiglia e anche lì insulti vari (ma di minore intensità).
Poi un parente si sarebbe “immischiato” per trovare un accordo e far riappacificare tutti.
Quindi avveniva l’incontro, dove volava qualche simbolico ceffone, e poi tutti si abbracciavano piangendo, mangiavano pasticcini e decidevano che i due si sarebbero dovuti sposare in fretta (ancora meglio se c’era un bebè in arrivo).
Così la faccia era salvata e il portafoglio pure.

La ragazza fuiuta doveva sposarsi subito, perché in caso contrario, se fosse accaduto un problema e il matrimonio non fosse andato in porto, sarebbe stata disonorata per sempre e nessuno l’avrebbe mai più sposata.
Il ragazzo capace di compiere tale gesto era guardato con rispetto da tutti perché faceva un atto eclatante, e soprattutto voleva riparare al più presto “assumendosi le sue responsabilità” dimostrando di “curarsi dell’onore della fidanzata e delle famiglie”.

Certo parliamo di altri tempi in cui a scegliere per il corpo e per la vita di una donna erano tutti tranne che la donna stessa. Oggi anche qui fortunatamente qualcosa è cambiato (ma permangono ancora forti strascichi tipici del patriarcato).

Nel corso del tempo vennero definiti col termine fuitina altri i fenomeni un po’ diversi.
Per una diversa libertà di costumi dovuta ai mutamenti sociali che inevitabilmente toccarono anche la Sicilia (le ragazze uscivano di casa per andare a scuola o a lavorare), i giovani innamorati avevano più facilità ad incontrarsi da soli e poteva capitava di incorrere in una gravidanza imprevista. In questi casi, la coppia confessava e il maschio “riparava” sposandosi. Così le famiglie un po’ per giustificarsi dicevano “sinni fuieru” (sono fuggiti), ma questo in realtà è un fenomeno più moderno che nulla ha a che vedere con la rocambolesca, eclatante, concepita come un gesto quasi “cavalleresco” fuitina originale.

Oggi il fenomeno fuitina è inesistente nei ceti medio-alti, per un cambiamento socioculturale. I giovani hanno modo di incontrarsi, fidanzarsi, vivere insieme e se devono aspettare è solo per trovare un lavoro non precario. Ma soprattutto per le donne (per cui il matrimonio rappresentava nel passato l’unica possibilità di libertà rispetto alla vita prima del matrimonio) oggi è possibile svolgere una vita sociale con maggiore libertà (lavorare, studiare, viaggiare, uscire da sola o con un ragazzo etc) anche da non sposate, ed avere una diversa consapevolezza di sé.
Le donne hanno più libertà di scelta e il loro onore non è più legato a certi tipi di concetti “tribali”.

Una mentalità tradizionalista, malgrado tutti questi cambiamenti e una libertà apparente è comunque ancora esistente e diffusa in ogni ceto sociale, e a maggior ragione si radicalizza negli ambienti più arretrati.
In alcuni quartieri popolari, di fatto si usano le stesse modalità di quarant’anni fa, anche se le ragazze sembrano più libere e si vestono alla moda.
Può capitare che le ragazze a tredici anni siano già donne di casa perfette e soprattutto senza prospettive di emancipazione personale, ed hanno ancora come unico scopo di rivalsa sociale il matrimonio. Decidono quindi di affrettare i tempi, perché piuttosto che occuparsi della casa o dei figli dei propri genitori, possono curarsi della propria (tanto prima o poi sempre quello sarà il proprio destino). E così ancora si ricorre alla tipica fuitina e a tutta la farsa che ne consegue.

Palermo vista da noi.

Teatro Massimo

Camminando per le vie della nostra città, a volte restiamo colpiti da alcuni particolari che magari fino al giorno prima, non avevamo notato.

Dei piccoli tesori nascosti, delle stranezze mimetizzate tra le cose più comuni che a prima vista sono quelle che prevalgono e colpiscono l’attenzione di un passante distratto.

Ci sono delle ricchezze ormai degradate dal tempo, che però continuano a mantenere il loro fascino,

chiese decadenti, balconi decorati, vicoli misteriosi, bancarelle con prodotti di ogni genere,

muri segnati dal tempo o da frasi d’amore, manifesti di santi e di politici, vie dagli strani nomi, Chiese trasformate in negozi,

alberi che si abbracciano, o comunque particolari di Monumenti, di Chiese.

E’ interessante poter osservare questi piccoli aspetti, seguire un percorso diverso, farsi guidare dalla città. E a Palermo, veramente ogni angolo può nascondere qualcosa di misterioso, curioso o gustoso da vedere. Basta solo fare attenzione, dimenticare per qualche istante la vita frenetica della grande città, lasciarsi trasportare dalla fantasia.

Palermo seen by us

Walking through the streets of our city, sometimes we remain impressed by some details that maybe until the day before, we had not noticed.

Some small hidden treasures, strange things camouflaged among the most common things that at first sight are those that prevail and affect the attention of a passing distracted.

There are wealth deteriorated by the time, but still retain their charm, decadent churches,

decorated balconies, mysterious alleys,

walls marked by time or by phrases of love, posters of saints and politicians.

Streets with strange names, churches converted into shops, trees that hug,

or details of Monuments and Churches.

Teatro Massimo

It is interesting to observe these small details, follow a different path, be guided by the city. And in Palermo, really every corner can hide something mysterious, curious to see. Just be careful, forgetting for a moment the hectic life of the great city, let carried by the imagination.

foto di Massimo Russo