Presentazione del libro “Oltre i cento passi” di Giovanni Impastato – inaugurazione della mostra di vignette di Vauro e Pino Manzella a Terrasini (PA)

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Domenica 23 Luglio 2017 alle ore 18.00 a Torre Alba, nel Lungomare Peppino Impastato a Terrasini (PA), si terrà la presentazione del libro “Oltre i cento passi” di Giovanni Impastato, Edizioni Piemme.

Sarà presente oltre all’autore anche il vignettista Vauro.

Interverranno: Giosuè Maniaci – Sindaco di Terrasini, Giovanni Ruffino, Andrea Bartolotta, Ottavio Navarra, Mimma Scigliano.

A seguire, sempre a Torre Alba, verrà inaugurata la mostra di vignette di Vauro e Pino Manzella, introdotta da Evelin Costa e  Giuseppe Ruffino, che sarà poi visitabile presso il Palazzo Comunale di Terrasini in Piazza Falcone e Borsellino, dal 24 Luglio al 25 Agosto 2017 (dal lunedì al venerdì ore 8.30/13.30, il mercoledì ore 8.30/13.30 e 16.00/19.00).

L’evento, patrocinato dal Comune di Terrasini e svolto in collaborazione con l’Associazione culturale Asadin, è inserito all’interno della rassegna estiva “Altre Sicilie. Tra terra e libri” promossa e organizzata da Navarra Editore e Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.

 

Oltre i cento passi di Giovanni Impastato

È la primavera del 1977 quando Peppino Impastato, insieme a un gruppo di amici, inaugura Radio Aut, una radio libera nel vero senso della parola. Da Cinisi, feudo del boss Tano Badalamenti, e dall’interno di una famiglia mafiosa, Peppino scuote la Sicilia denunciando i reati della mafia e l’omertà dei suoi compaesani. Una voce talmente potente che poco più di un anno dopo, la notte tra l’8 e il 9 maggio, viene fatta tacere per sempre. Ma pure questo è uno degli errori della mafia: pensare corto. Perché, anche se non era scontato, la voce di Peppino da allora non ha mai smesso di parlare, di lottare per la dignità delle persone, di illuminare la strada.

È una strada lunga, se si pensa che ancora oggi chi ha depistato le indagini sull’omicidio di Peppino ha fatto carriera, mentre chi invocava la verità non c’è più. Ma è una strada percorsa ormai da migliaia di persone.

Per la prima volta, Giovanni, fratello di Peppino, che ne ha raccolto il testimone, fa il punto della situazione delle mafie – e delle antimafie – in Italia, dall’osservatorio di Casa Memoria e del Centro Impastato, da quarant’anni in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata.

Carmelo Pecora presenta “Tre ragazzi in cerca di avventure e sette racconti” a Terrasini

Sabato 1 Aprile 2017 alle ore 17.00 presso il Margaret Cafè in Via Madonia 93 a Terrasini (PA), Carmelo Pecora presenterà il suo libro , CartaCanta Editore.

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Carmelo Pecora, che attualmente vive in Emilia Romagna, si trova in questi giorni ad Enna, sua città d’origine, dove una scuola ha adottato il suo nuovo libro. Siamo felici di averlo con noi a Terrasini visto il suo legame con il nostro territorio, lo scorso anno è stato a Cinisi dove a presentato L’urlo di Maggio, il suo reading teatrale tratto dal libro  9 maggio ’78 – Il Giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato. Anche in questa occasione si aprirà uno scambio rispetto a questa tematica.

All’evento coordinato da Evelin Costa, sarà presente l’autore del libro ed interverrà Pino Manzella. Saranno proposte alcune letture.

L’evento è promosso dall’associazione Asadin con la collaborazione di Evelin Costa.

Carmelo PecoraCarmelo Pecora (Enna, 1959) è un ex ispettore capo della Polizia scientifica. In ambito letterario ha al suo attivo diverse pubblicazioni tra cui: 9 maggio ’78 – Il Giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato (Editrice Zona, 2007) che ha ricevuto il Premio speciale al concorso Com&Te e dal quale è stato tratto il reading teatrale L’Urlo di Maggio; Polvere negli occhi sulla strage alla stazione di Bologna (Editrice Zona, 2009), Ustica, confessioni di un angelo caduto (Editrice Zona, 2011) e Gli infedeli – storie e domande della Uno bianca (Editrice Zona 2014).

Enna, nel cuore della Sicilia, tre ragazzini di tredici anni, un po’ per gioco un po’ per scommessa, scappano di casa e decidono di intraprendere un viaggio che possa portarli lontano, magari in America. Tra mille peripezie arrivano a Palermo, una città mai vista e all’apparenza lontanissima, da dove cercano di imbarcarsi su una nave e dare così inizio a una avventura ancora più incredibile. Molti anni dopo, uno dei tre, diventato responsabile della Polizia scientifica si trova di fronte a una situazione simile: Margherita, una sedicenne pugliese, abbandona la sua famiglia e parte alla volta di Milano per rincorrere un sogno. Durante le procedure di identificazione, i ricordi, inevitabilmente, si faranno spazio nella mente del capo della Polizia scientifica e tutto sembrerà tornare, per qualche ora, a quel lontano 1971.

Un romanzo breve e sette racconti che sono un inno alla libertà e al senso di responsabilità che nel corso della vita accompagnano le nostre scelte, al desiderio di un mondo più giusto che alberga nel cuore di chi ogni giorno si impegna per un futuro migliore.

 

Libro Fotografico “Arte mai vista” di Sonia Pennino – Recensione

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Il progetto fotografico e documentaristico realizzato da Sonia Pennino, giovane artista palermitana da sempre interessata all’impegno sociale, non può non toccare le corde più profonde dell’animo. L’idea è nata sviluppando un lavoro realizzato per un esame di fotografia all’Accademia delle Belle Arti, dove l’autrice si proponeva di ritrarre la giornata-tipo di un non vedente, in quel caso Emanuele Brancati, professore, scrittore e padre del suo compagno.

Sonia Pennino ha da qui intrapreso un viaggio empatico che l’ha portata a conoscere l’Unione Italiana Ciechi di Palermo ed entrare in contatto con la vita di dieci uomini e donne ipovedenti e non vedenti che si occupano di arte e fanno di questa il centro del proprio essere. Li ha fotografati nei luoghi della loro vita, in momenti belli, puntando sull’autonomia e mai sul vittimismo, sulla tempra, sulla capacità di superare, non solo i limiti personali, ma soprattutto quelli imposti dalla società che pensa i non vedenti, ma anche tutti coloro che hanno delle diversità, come persone impossibilitate a svolgere una vita felice, irrealizzate e vittime. Un pregiudizio che le trasforma in persone per le quali nutrire preoccupazione e da tenere a una certa distanza, perché spesso la relazione con chi vive una sofferenza provoca turbamenti, e non si considera invece quanto possa insegnare ad affrontare l’esistenza, con le sue gioie ed i suoi ostacoli, trasformando il dolore e le difficoltà in un punto di forza.

Il libro fotografico di Sonia Pennino, che contiene oltre alle immagini anche alcune interessanti interviste ai protagonisti che raccontano la loro storia, è quindi un libro di impegno sociale e di sensibilizzazione verso una realtà che può essere conosciuta profondamente solo da chi la vive, ma riguarda tutti, perché fa riflettere su tematiche importanti quali l’autonomia, l’abbattimento delle barriere architettoniche, la vivibilità delle città e la costruzione di una  concezione più umana della vita, che metta al centro uomini e donne nella loro complessità ed interezza e non fattori disumanizzanti e alienanti quali la produzione ed il guadagno. Eppure questo progetto, oltre al piano dell’impegno, rappresenta un vero e proprio lavoro artistico. Un elogio all’arte. Foto che ritraggono l’arte nel momento in cui viene espressa, nel suo ruolo salvifico per chi la crea, ma anche per chi ne usufruisce. Arte come terapia, comunicazione, supporto, genio, talento e passione, che può cambiare la vita di chi la incarna.

Sonia Pennino ha realizzato le sue foto in bianco e nero. “L’assenza di fotografie a colori è stata voluta – come lei stessa scrive nell’introduzione al proprio libro – È nata dalla considerazione di quanto la fotografia sociale sia rimasta fino ad oggi dominata dal bianco e nero; scelta tecnica, dunque, che si presta bene a raccontare di vite in cui il nero la fa da padrone”. Sono fotografie sociali ed artistiche in cui traspare l’essenza di chi è ritratto, la poesia interiore è resa dalla luce che emanano i volti e da una serie di oggetti, piccoli ed interessanti dettagli di vita ed arte.

Una lirica in immagini che emerge dalle mani, di sovente protagoniste. Mani artefici, mani che carezzano tasti di un pianoforte o di una macchina da scrivere, mani che leggono, mani che modellano, mani che sfiorano, che conoscono, che costruiscono. Mani abili, mani che comunicano e che carezzano per comunicare. La carezza, forma sublime dell’amore. E poi vi sono occhi, occhi che non vedono, ma sono intensi, profondi e belli come i volti dolci e fieri delle giovani protagoniste del progetto, come quelli di tutti loro, uomini e donne il cui mondo intrinseco è vivo nell’arte che creano.

Nelle foto prevale il grigio, colore-non colore che appartiene all’interiorità, colore solo apparentemente spento, assenza che invece contiene infinite sfumature di presente, comunicando spiritualità, calma, attesa. Nelle foto di Sonia Pennino il grigio, l’ombra, il lieve buio, sono illuminati da guizzi di bagliore. Luce che pennella le rughe delle mani che stanno lavorando, luce che sfiora un’opera d’arte appena realizzata, luce che irrora un volto enfatizzandone i lineamenti, luce diffusa che rischiara un ambiente in cui il protagonista è in ombra, o viceversa luce diretta che mette in risalto il soggetto protagonista. Luce che entra da una finestra, luce “drammatica” che trasforma i luoghi fotografati in un palcoscenico del reale, dove un fascio luminoso designa l’essenziale, ciò che è intenso, l’ispirazione quando nasce e diventa magia, canto sublime, fuoco soprannaturale che avvicina l’umano all’universale.

Domenica 19 febbraio 2017 alle ore 19.00, presso il Margaret Cafè in Via V. Madonia 93 a Terrasini (PA), sarà presentato il libro “Arte mai vista” di Sonia Pennino edito da Kalós – Edizioni d’arte e contemporaneamente sarà inaugurata, all’interno della sala espositiva del caffè letterario, la relativa mostra fotografica. L’evento è promosso dall’Associazione Asadin con la collaborazione di Evelin Costa.

La mostra sarà visitabile fino al 7 Marzo 2017, tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00.

Interverranno: Avv. Tommaso Di Gesaro – Presidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Palermo, Paolo Brancati – Regista esperto di sociale, Daniela Capobianco – Operatrice specializzata in interventi Socio Assistenziali.

Sarà presente l’autrice del libro, Sonia Pennino.

Sonia Pennino (Palermo 1987), diplomatasi all’Istituto Statale d’Arte. Ha proseguito gli studi presso l’Accademia delle Belle Arti, laureandosi con un reportage fotografico sul “sesto senso” dei non vedenti e ipovedenti. Si dedica attivamente all’arte nelle sue molteplici forme, dalla pittura al teatro e alla fotografia. Ha partecipato a concorsi e a mostre nazionali di pittura e di Fotografia e ha allestito la mostra personale “Be-pride” presso i Cantieri Culturali alla Zisa in occasione di Palermo Pride 2013. Ha svolto anche attività di direttore della fotografia, fotografia di scena e consulente di fotografia per diverse fiction e sit-com. Nel 2016 ha pubblicato il libro “Arte mai vista” edito da Edizioni d’arte Kalós e realizzato mostre personali legate a questo progetto.

 

Presentazione del libro “Un Paese senza nome” di Emilia Merenda

Cari amici e amiche siete tutti invitati alla presentazione del libro di mia madre Emilia Merenda.un-paese-senza-nome2
Sabato 14 Gennaio 2017 alle ore 17.00, nella Sala delle Carrozze presso Villa Niscemi, a Palermo in Piazza dei Quartieri 2, sarà presentato, con il patrocinio del Comune di Palermo, il romanzo “Un paese senza nome” di Emilia Merenda, Edizioni Drepanum. Interverranno: Nino Barone, editore e poeta – Emilia Ricotti, drammaturga e poetessa – Luigi Pio Carmina, poeta – Emilia Merenda, autrice del libro. Coordina l’incontro Evelin Costa.
 
L’ autrice di “Un paese senza nome “Emilia Merenda, dà l’avvio al romanzo, con un incipit ad effetto: Il nonno al centro del terrazzino in attesa della colazione seduto nella sua poltroncina, giacca da camera di panno verde e zuccotto in testa, profumo di fiori appena sbocciati nell’aria, e capisci che quel nonno, sbarbato, profumato con un cappello di feltro d’inverno e di paglia di Firenze d’estate, intento a conversare con qualche passante che si ferma oltre il muretto di recinzione del giardino di casa , non è centrale solo seduto nel terrazzo di casa, ma è centrale nella vita di una famiglia, la cui vicenda si snoda come una saga […] Alla nipote abituata a riconoscere il suo malessere anche da un lieve sospiro, affida tre quarti di secolo in un lungo interminabile monologo dialogico che si sviluppa attraverso un flashback che va alle radici del suo viaggio terreno, il titolo stesso di questo breve romanzo, circonda di un’aura di mistero la vicenda, perché se il tempo è definito, il luogo da cui si diparte la storia appare misterioso […]“Un paese senza nome” dell’autrice Emilia Merenda ha una struttura solida: fanciullezza, viaggio, maturità, che si snoda attraverso un percorso che va alla ricerca di sé per rifondare un mondo, ecco forse è questo l’intento prioritario, quello di rifondare un mondo e da quell’orizzonte, avaro di affetti dove le uniche figure che compaiono sono o gli avventori della bottega o della tabaccheria, fluisce un nuovo mondo, attraverso un percorso obbligato che induce alla conoscenza e al riconoscimento di sé e la fuga – partenza per l’ammissione presso l’Istituto Reale di Marina Mercantile di Palermo […] I percorsi sono tanti da nord a sud, da est a ovest, i mari e le terre altrettanti: il Mediterraneo, Lo stretto di Gibilterra, l’Atlantico, la Manica, il Pacifico, il mare del nord, Pantelleria, Lampedusa, Malta, Gozzo, Napoli, la Dalmazia, Venezia, Calais, le bianche scogliere di Dover, l’Olanda, Oslo, New York, Arcangelo e il mare di Barents, il Brasile […] A conclusione della struttura circolare del romanzo -storico, psicologico e di memoria “Un paese senza nome “ di Emilia Merenda, emerge il ricordo della ragazzina ormai grande che ripenserà a quel giorno sul terrazzino di casa, alle parole del nonno alla nipote abituata a riconoscere il suo malessere anche da un lieve sospiro: “il giorno che non ci sarò più, i miei nipoti mi regaleranno il tempo, tutte le volte che si ricorderanno di me.” E dal mare sale l’odore di fritto di proustiana memoria emanato dalle polpette nell’aria, il fischio del treno, il vento tiepido che accarezza il viso e avvolge le braccia, come uno scialle di seta della bambina in gita col nonno. E il romanzo i questione è il più bel regalo del tempo ad un nonno mai spento. (Tratto dalla presentazione di Emilia Ricotti).
“Erano i primi giorni d’ottobre, la temperatura si manteneva tiepida e la permanenza all’aperto era abbastanza piacevole, ma nonostante ciò, il nonno indossava la sua giacca da camera di panno verde e un copricapo a forma di zuccotto confezionato con lo stesso tessuto della giacca. A differenza degli uomini della sua età, non aveva mai portato la “coppola”.
Durante il periodo invernale, ogni volta che doveva uscire, metteva sulla testa un cappello di feltro, mentre nel periodo estivo usava indossarne uno di paglia di Firenze. Era molto distinto e gli piaceva ancora vestire in maniera moderatamente elegante e nonostante fosse vecchio, era sempre ben sbarbato e profumato.” (Tratto dal romanzo “Un Paese senza nome”).
Emilia Merenda è nata a Palermo nel 1945 coniugata, mamma e nonna. Autodidatta di vasta cultura con due grandi passioni coltivate fin da giovanissima: la lettura e la scrittura. Nota nel settore della poesia vernacolare per gli innumerevoli attestati e premi conseguiti per la partecipazione, negli anni, a prestigiosi concorsi letterari. Alcune sue opere sono inserite in diverse antologie poetiche. Ha pubblicato nel 2014 una silloge di racconti intitolata “Il Capezzale” edita della casa editrice Kimerik di Patti, nel 2015 una raccolta di quarantacinque poesie in italiano con Urso Editore e nel 2016 il romanzo “Un Paese senza nome”, Edizioni Drepanum.

Mostra di Ketevan Jorjoliani al Margaret Cafè

 

Ketevan Jorjoliani è una giovane artista nata in Georgia nel 1991. Si è laureata nel 2013 all’Accademia di Belle Arti di Tbilisi, in Design della Moda. In quegli anni ha studiato arte pittorica nell’atelier del pittore georgiano Gia Khutsishvili. Dal 2015 è iscritta al biennio di pittura all’Accademia di Belle arti di Palermo. Collabora con la casa editrice Corrimano Editore dal 2014 per la quale crea le illustrazioni delle copertine.

La sua mostra nasce da una serie di schizzi realizzati osservando l’architettura urbana di Palermo, una serie di scenari particolari che si combinano tra loro creando una visione d’assieme, come in un puzzle che si trasforma nel racconto di una città complessa, variegata e contraddittoria come Palermo. L’autrice trae ispirazione dalla città e soprattutto si lascia attraversare dalla sua forza vitale che trasfonde nelle tele dipinte, nelle quali le figure sono stravolte creando nuove forme. Le geometrie segnate da tratti netti e a volte nervosi creano nuove immagini in un viaggio tra il formale e l’informale. Gli ambienti descritti sono semplificati in sagome scomposte, composte e ricomposte, dando vita a metamorfosi, mutamenti e creando luoghi poetici che ricordano sogni atavici e ancestrali. Le strade si intersecano e convergono con le case e con elementi della natura, creando particolari collage, sembrano non seguire schemi simmetrici, rendendo un certo dinamismo nelle immagini che a volte è come se volessero esplodere fuori dalla tela, verso l’esterno. I colori sono tenui, a momenti sfumati, prevalgono i pastelli, ma sono presenti alcuni contrasti. Improvvise si stagliano tinte forti che colpiscono lo sguardo. Le linee dei contorni rimangono visibili, a volte più leggere, altre più forti, come esplosioni vigorose di anima ed energia, raggi di cielo e scaglie di sole, che esprimono e raccontano una città arsa dal calore, caotica, accogliente e viva, la cui passionalità intrinseca in se stessa permea l’artista che la dona a chi osserva.

La mostra di Ketevan Jorjoliani potrà essere visitabile presso la sala espositiva del Margaret Cafè fino al 22 Ottobre, tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00. L’evento è promosso dall’ass.ne Asadin.

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Alcune foto della presentazione della mostra e della presentazione del libro di Ruska Jorjoliani sorella della pittrice e scrittrice di talento avvenuta il 2 Ottobre 2016, presente anche Dario Ricciardo di Corrimano Edizioni

 

“La tua presenza è come una città” poesia per raccontare.

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Incontro con Ruska Jorjoliani   autrice de “La tua presenza è come una città” edito da Corrimano Edizioni e con  la sorella Ketevan Jorjoliani illustratrice, di cui si inaugura la mostra pittorica. Domenica 2 Ottobre 2016 alle ore 18.00 presso il Margaret Cafè in Via Madonia 93 a Terrasini (PA) .Un’occasione  per conoscere la talentuosa autrice di un romanzo che sta ottenendo molta attenzione e riscontri positivi, finalista al Premio Hermann Geiger 2016, il suo romanzo è già stato recensito su giornali quali La Stampa e il Fatto Quotidiano. La mostra di Ketevan Jorjoliani potrà essere visitabile presso la sala espositiva del Margaret Cafè fino al 22 Ottobre, tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00. L’evento è promosso dall’ass.ne Asadin.

Sotto la mia recensione del libro “La tua presenza è come una città”, seguiranno le biografie dell’autrice e della pittrice.

Recensione:

“La tua presenza è come una città” è il romanzo di Ruska Jorjoliani, il cui titolo è il verso di una poesia di Boris Pasternak. Non è un caso che la scelta dell’autrice sia caduta proprio su una figura retorica contenuta in un verso poetico. Il romanzo è infatti, in tutta la sua tessitura, intriso di poesia. Metafore, similitudini, simbolismi, fluttuano in ogni capitolo rendendolo ogni volta come un piccolo scrigno capace di custodire, nascondere e svelare significati reconditi. L’autrice, che ha iniziato il suo percorso letterario nella poesia,  durante una delle presentazioni del suo libro, ha rivelato che questo suo primo romanzo nasce anche come “demistificazione della poesia, tramite l’uso della forma prosaica”, un modo questo che le ha dato la possibilità di non risparmiarsi, di ricercare, di sviluppare il suo perfezionismo, di agire come una scienziata che cataloga ed organizza ed in altri momenti come uno scultore che cesella ed incide la sua materia, rendendola ricca di microscopici e macroscopici dettagli e particolari. La prosa che ne risulta è ricca, lirica, colta, filosofica, complessa, intrigante, poetica. Uno dei protagonisti, Dimitri, nella sua ultima lettera ai genitori, inviata dal confino, scrive: “Forse ho riposto troppa fiducia nelle metafore. Soprattutto in quella dell’albero. E della Storia. Senza pensare che è forse ciò che si nasconde dietro la metafora a contare, più della metafora stessa…”. Dimitri ha molto creduto nelle metafore e sogna che suo figlio Kirill diventi un poeta, perché la poesia può essere un motivo valido per cui vivere, anche se a volte ci sono alcuni “che nascono quasi apposta per essere schiacciati dalle ruote del tempo, che invitano quasi la sorte a stritolarli nella sua morsa”. Questo desiderio di poesia sarà realizzato, in un modo o nell’altro. A compierlo sarà il “guardiano di libri”, Saša, che in un sogno premonitore o rivelatore vedrà un monaco che tiene in braccio un gatto dirgli: “sai anche resuscitare i morti? Sei solo un cane che bazzica i cimiteri e che ogni tanto dissotterra qualche osso”. Eppure sarà proprio “resuscitando i morti” che realizzerà il sogno dell’amico e dei di lui genitori.

Il romanzo è anche un romanzo filosofico, perché le vicende dei personaggi sono raccontate con “lo scopo di far cogliere qualcosa di universale”. Come scriveva Milan Kundera, autore amato dalla scrittrice georgiana: “Il romanzo è una meditazione sull’esistenza vista attraverso i personaggi immaginari”. Ci sono almeno due mondi a confronto in questa vicenda ed in ciò che le fa da sfondo, due modi di concepire il reale. Quello che vede l’esistenza e le scelte individuali come irrilevanti, che vede il soggetto come un elemento inconsistente all’interno del fluire della Storia, intesa in senso hegeliano come un movimento dialettico dentro l’Assoluto e nella Verità, in quello che potrebbe essere definito un ordine strutturale dentro il quale il soggetto nulla può. Le estreme conseguenze di questo pensiero hanno portato allo stalinismo con le sue aberrazioni, sistema nel quale i nostri protagonisti sono immersi con tutto quello che ne consegue. C’è poi un modo di concepire la realtà che mette al centro l’individuo con le sue scelte, l’esistenza umana dei singoli soggetti che fanno la Storia. Non è un caso forse che il libro di poesie di Kirill si intitolerà “Il caos genera l’essere individuale”, il caos è libertà che si contrappone a un ordine estraniante. Nel romanzo c’è chi sceglie e chi non sceglie, c’è chi accetta l’esistente e chi paga le conseguenze della propria diversità, chi subisce le conseguenze della scelta di voler andare controcorrente. Ma in questa storia tutti pagano per sempre le scelte ed anche le non scelte, forse non ci sono eroi e nemmeno traditori, “a ognuno il proprio ruolo, e nessuna colpa” come scrive Dimitri all’amico Viktor.

La storia, che attraversa più generazioni, ha come sfondo la Russia sovietica in cui, come in tutte le dittature, l’individuo è svilito, offuscato, annullato. Un “socialismo disumanizzante” che si allontana da quel Socialismo dal volto umano descritto e sperato da Dubcek ai tempi della Primavera di Praga. Viktor, uno dei protagonisti del romanzo, eroe-antieroe che si macchia della colpa di esser stato il delatore del suo migliore amico, sogna segretamente un “socialismo gentile” dove il “dolore non dovrebbe aver avuto un’infanzia”.

E’ questo un romanzo che parla di libertà e di dittatura, affronta un tema non semplice con poesia e anche con ironia. Parla di Cultura, di come questa sia in contrasto con il dispotismo dei regimi che come primo compito si pone quello di “sfrattare la cultura”, di imporre un pensiero unico, di creare, come la stessa Ruska Jorjoliani ha affermato, “uno slittamento semantico, di distorcere il significato delle parole, di creare sfiducia nel linguaggio”, incomprensioni, divisioni, odio. L’autrice esplicita questo attraverso una serie di bizzarri interrogatori, a volte surreali, quasi umoristici, ridicoli nella loro pericolosità. Può questo romanzo aprire una riflessione interessante sul modo, anche attuale, di comunicare, ci fa riflettere sul forviante e manipolatorio uso della comunicazione sia verbale che scritta che si espande anche attraverso i social, i mass media. Un uso a volte distorto delle parole e del linguaggio comune, con tutte le sue possibili conseguenze. La cultura è sostanziale per superare queste distorsioni di significato, può andare oltre le fazioni e gli odi, può unire piuttosto che dividere. Ruska Jorjoliani racconta quanto sia stato importante per lei, da georgiana, aver sentito un senso di appartenenza per i romanzi russi, perché il sapere ed anche il bello sono universali e non hanno confini, vanno anche oltre le guerre. Ricordando un episodio di infanzia, afferma quanto, anche nei momenti di estrema povertà, fosse importante per lei la lettura di un libro, nutrimento per l’anima, che sua mamma, anche a costo di sacrificare altro, non smetteva di comprare.

“La tua presenza è come una città” è un romanzo polifonico, corale, policentrico. Sono tante le voci che raccontano, tanti i protagonisti, quelli presenti e quelli assenti il cui fantasma, forse il simulacro, secondo la teoria di Dimitri, permane in tutto il racconto, come il suono cupo di una campana. Tutto l’intreccio si costruisce di casella in casella, come in un mosaico o un percorso misterioso che si va svelando a tappe, di capitolo in capitolo, in un reticolo che all’inizio appare complicato, ma improvvisamente si illumina rendendosi chiaro e limpido al lettore. Variano le voci narranti, ed anche le forme letterarie si alternano contribuendo alla costruzione della trama: lettere, lettere mai scritte ma ricevute, elenchi, interrogatori veri ed immaginari, dialoghi, favole (come quella “fiaba russa da raccontare ai figli durante una passeggiata all’orto Botanico”, che narra quasi in un racconto a sé la storia di un bellissimo amore nato nei boschi). E’ una sperimentazione quella che l’autrice mette in atto, che nasce dalla conoscenza di tanta letteratura di qualità, è chiaramente un romanzo per nulla improvvisato, chi l’ha scritto ha letto molto, ha meditato molto, cosa forse rara ai tempi di oggi.

La storia narrata è quella principalmente di due coppie di amici, i padri e i figli. Due amici, i padri che si conoscono da sempre, uno Dimitri professore di letteratura russa alle scuole medie di Miroslav, l’altro Viktor ingegnere, costruisce o piuttosto distrugge ponti, come il regime gli richiede. I due hanno visioni diverse della realtà in cui vivono, il socialismo reale. Al primo quella dimensione sta stretta, la soffre, lo soffoca fino a star male, teme una società fatta solo di Simulacri che sostituiscono le vere identità, vede costantemente la possibilità di arresti o omicidi di persone innocenti, “non ha mai creduto in nessuna rivoluzione”, come afferma il suo migliore amico durante un interrogatorio. L’altro, Viktor, accetta apparentemente quella realtà, crede nel regime e non vuole vederne i limiti. Tra i due gli scontri ideologici sono descritti in una surreale partita a scacchi, in cui nessuno vince. Alla fine, o meglio all’inizio di tutto il successivo dipanarsi della storia, Dimitri lancia fuori dalla finestra dell’aula dove insegna il ritratto di Lenin. L’amico lo denuncia, azione che segna tutto il resto della sua vita. Accoglie in casa, insieme alla propria moglie Alina e al proprio figlio Saša, la moglie Sošanna ed il figlio Kirill dell’amico.  Le due mogli creano tra loro uno stretto legame di sorellanza, i due ragazzi crescono come fratelli e Viktor diviene per Kirill il padre mancato, anche se Dimitri vivrà sempre in tutti loro. I figli rivivono la storia dei padri, le loro vicende quasi si offuscano e si mescolano fino a confondersi, scrive Saša in una lettera “a volte mi chiedo se sia così grave figurarsi che ogni tanto la sottile membrana che ci divide si spezzi e i confini tra me, te, Viktor, Dimitri e altri ancora diventino così sfocati da essere indistinguibili”.

Leggere questo romanzo è anche in parte leggere la storia della sua autrice. Non descrive la sua vita, che pure è interessante ed unica, ma il suo essere georgiana, l’essere nata quando ancora esisteva l’URSS, l’aver vissuto la guerra e la povertà, aver assistito allo sfacelo del proprio paese e di tutte le illusioni che si portava dietro, l’esser giunta in un paese straniero, l’Italia, accolta da una famiglia palermitana fin da bambina, tutto questo in qualche modo c’è nel romanzo, è una presenza da cui è difficile prescindere. L’autrice è presente anche nella scelta di scrivere in una lingua complessa, l’italiano, che non è la propria lingua d’origine, ma che in questo caso ha rappresentato un aiuto per guardare alle vicende del proprio paese, tramite una lente che la potesse distaccare facendole apparire il tutto con maggiore equilibrio e senza far prevalere il proprio intimo coinvolgimento.

Così il lettore si abbandona in una storia antica ma moderna, lontana ma vicina, particolare ma universale, che parla di accoglienza, di amicizia, di fragilità e miserie umane. Ogni simbolo è una voce che si aggiunge al coro: il cappotto di Viktor regalatogli da uno zio al ritorno dalla guerra che rimarrà una costante fino alla morte, “Morirà con addosso questo cappotto” pensa l’amico guardandolo andar via per l’ultima volta; l’albero, gli occhiali di Dimitri che passano al figlio, il cassetto, l’asino la cui colpa è l’aver ubbidito ad una giusta causa, la Campana rubata per impedire che la sua voce suoni in nome della guerra, gli scacchi, e poi le scarpe di camoscio blu nuove. Quest’ultimo triste e macabro particolare mi ha lasciato un amaro sorriso, non so se è una citazione voluta o se è solo un caso, ma quelle scarpe di camoscio blu che penzolano dal ramo di un albero insieme a un paracadutista dilettante, non potevano non ricordarmi quelle “Blue Suede Shoes” che a ritmo di rock and roll mi hanno rammentato l’importanza di guardare con ironia il fluire della vita, dall’inizio alla fine.

Evelin Costa

Ruska Jorjoliani è nata a Mestia (Georgia), nelle montagne del Caucaso, nel 1985, quando sul mappamondo esisteva ancora un enorme paese chiamato Unione sovietica. Nel 2007 si è trasferita a Palermo, dove due anni dopo ha vinto il suo primo premio letterario: “Mondello giovani Sms-poesia” (per i versi dedicati a Dino Campana), dove si è laureata in filosofia, e dove vive e studia tuttora.
Ketevan Jorjoliani è nata in Georgia nel 1991 e si è laureata nel 2013 all’Accademia di Belle Arti di Tbilisi, in Design della Moda. In quegli anni studia arte pittorica nell’atelier del pittore georgiano Gia Khutsishvili. Dal 2015 è iscritta al biennio di pittura all’Accademia di Belle arti di Palermo. Collabora con Corrimano Editore dal 2014.

 

 

 

Inaugurata a Terrasini la mostra SICILIE–L’identità molteplice di Pino Manzella e ass.ne Asadin

E’ visitabile a Terrasini (PA), fino al 26 Agosto 2016, la mostra pittorica e fotografica intitolata “SICILIE–L’identità molteplice”, ospitata dalla splendida cornice offerta da Torre Alba, una delle suggestive torri costiere di Sicilia, che si eleva su una falesia di marne rosse tra Cala Rossa e Cala Bianca.

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Esposti cinquanta dipinti che rappresentano la Sicilia nelle sue molteplici sfaccettature, tutti realizzati da Pino Manzella, pittore nato a Cinisi, che ha cominciato a disegnare fin dai primi anni Settanta all’interno delle attività politiche e culturali animate da Peppino Impastato, che si svolgevano nel Circolo Musica e Cultura e poi a Radio Aut, tra Cinisi e Terrasini. Le sue inizialmente erano vignette e manifesti, negli anni a seguire la sua pittura, ricca di riferimenti letterari e messaggi da decodificare, si è fatta veicolo tra la memoria ed il presente, già attraverso la scelta di dipingere su carte antiche, recuperate dal pittore nelle bancarelle dei mercati popolari, con lo scopo di non incasellare il passato in un tempo che non c’è più, ma di trasformarlo in linfa per un futuro di cambiamento.

A queste “Sicilie” dipinte da Pino Manzella si affiancano le fotografie dei soci dell’Associazione Asadin, che si sono ispirati ai quadri, sviluppandone alcuni elementi, creando così tra dipinto e foto dei piccoli miracoli di sintonia, che non smettono mai di emozionare chi li osserva. L’Associazione Asadin, che ha curato la mostra, è stata fondata a Cinisi (PA) nel 2007 da un gruppo di fotografi amatoriali e da allora la sua attività, che si svolge principalmente tra Cinisi e Terrasini, si caratterizza per l’impegno verso tematiche rivolte alla salvaguardia del territorio, all’affermazione dei diritti umani e dell’equità sociale.

L’inaugurazione della mostra è avvenuta domenica 7 Agosto. Più di trecento i partecipanti accolti da uno dei meravigliosi tramonti che si affacciano sulla splendida costa terrasinese, nell’atmosfera davvero suggestiva di Torre Alba. Grandi emozioni hanno suscitato queste Sicilie in mostra che hanno la forza di coinvolgere e toccare le corde più intime degli isolani che vivono in prima persona il racconto dolce amaro narrato dai dipinti e dalle foto, ma anche i non siciliani che, comunque, non possono non sentire propria la storia di una terra così importante e viva in tutte le sue contraddizioni.

La serata di inaugurazione della mostra e presentazione del relativo catalogo, è stata condotta da Emanuela Schirru, sono seguiti gli interventi del Sindaco di Terrasini Giosuè Maniaci e del direttore artistico del Comune di Terrasini Vincenzo Cusumano, che hanno fortemente voluto che questa mostra, patrocinata dal Comune di Terrasini, fosse presente nella splendida location di Torre Alba finalmente riaperta al pubblico con la nuova veste di luogo di arte e cultura. E’ intervenuto poi Giovanni Impastato per Casa Memoria Impastato Edizioni, Vinny Scorsone, scrittrice e Critico d’arte, il cui testo è inserito nel prezioso catalogo, Evelin Costa socia dell’associazione Asadin ed infine il Pittore Pino Manzella, che ha concluso l’intervento dicendo che nella mostra manca una Sicilia, quella che ha dentro uno specchio dove ognuno di noi può rivedersi e riconoscersi.

Davvero grande è stato l’abbraccio degli intervenuti al pittore Manzella ed ai fotografi Asadin e tante le riflessioni e le emozioni che sono scaturite dal tema della mostra. Come scrive Umberto Santino nella presentazione del catalogo, qui c’è “la Sicilia, o meglio le Sicilie, con tutte le sue contraddizioni, con i suoi miti e i suoi stereotipi ma pure le sue semplici, quotidiane, umili e preziose speranze-certezze”. Quello delle Sicilie, sottolinea Giuseppe Viviano curatore del catalogo della mostra, “è un progetto ambizioso e complesso, e per questo affascinante, intorno a un’isola che non ha eguali […] terra di miti e di contrasti, di mafia e di antimafia, meta di arrivi e di partenze, luogo di speranze e di sogni infranti, centro di potere e di speculazioni, crogiolo e mosaico di culture, terra di conquista, di agrumi, di sale e di fuoco, teatro di pupi e di pupari, di carretti e malaffare, di mostri e di dèi…”. Non si può non rimanere affascinati da una terra come la Sicilia e da una mostra che la racconta per quella che è.

 

La mostra è visitabile fino al 26 Agosto 2016 dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 23.00, presso Torre Alba, nel Lungomare Peppino Impastato a Terrasini (PA).

Presentazione del libro “La notte di Silvia”, romanzo d’esordio di Stefania Parmeggiani a Terrasini

In questi giorni sto collaborando alla realizzazione della presentazione del libro “La notte di Silvia” scritto dalla giornalista Stefania Parmeggiani e presentato insieme a lei dalla giornalista Daniela Tornatore. Questo evento è stato ideato ed organizzato da Terrasini Oggi con la collaborazione del Margaret Cafè.

Vi invito tutti e tutte e spero che questi momenti di riflessione culturale e di aggregazione possano essere utili a ognuno di noi e ridarci la linfa vitale che serve a vivere meglio.

Evelin

Ecco sotto l’invito:

Volevamo invitarvi mercoledì 16 Settembre alle ore 18.30 presso il Margaret Cafè in Via Madonia 93 a Terrasini (PA), alla presentazione del libro “La notte di Silvia”, Castelvecchi Editore, romanzo d’esordio di Stefania Parmeggiani. Presenta la giornalista Daniela Tornatore.

“La notte di Silvia” è un romanzo ispirato ad un fatto di cronaca nera accaduto nel gennaio 1999. Il corpo di una giovane donna di origini albanesi veniva ritrovato lungo l’A14 nel tratto Cattolica-Riccione, l’omicidio si presentava come una vera esecuzione compiuta con un colpo di pistola alla tempia. Si sviluppa da qui l’opera prima di Stefania Parmeggiani che racconta e ricostruisce, attraverso la voce del magistrato che indaga, la storia di Silvia, una diciottenne in fuga dal proprio paese di origine, un paese devastato dalla guerra civile e dalle sue conseguenze. Un viaggio verso un possibile riscatto, la libertà e la speranza di una vita migliore. Silvia si troverà invece coinvolta nella malavita italiana, in giri di prostituzione e traffico di cocaina, di cui diventerà lei stessa uno dei tanti corrieri. Il maggiore sospettato del suo omicidio, il fidanzato italiano, un rapinatore coinvolto nella guerra di bande criminali. Una riflessione sulla spietatezza della ferocia della vita che non lascia spesso speranze e possibilità di affrancamento a chi cerca una via di fuga dalla disperazione.

Stefania Parmeggiani è nata a Rimini nel 1977, è una giornalista della «Repubblica». In precedenza ha collaborato per il «Corriere Romagna» e «l’Unità» come cronista di nera e giudiziaria. Dal 2011 vive e lavora a Roma dove si occupa di editoria, cultura digitale e nuove forme di narrazione crossmediale. La notte di Silvia è il suo primo romanzo.

Durante l’evento l’aperitivo sarà offerto dal Margaret Cafè.

L’evento è curato e organizzato da Terrasini Oggi con la collaborazione del Margaret Cafè.

Se parteciperete alla presentazione del libro giorno 16 Settembre avrete anche l’occasione di vedere all’interno della sala espositiva del Margaret Cafè la mostra “Metamorfosi” mia e di Pino Manzella, ancora in esposizione per almeno una settimana.