“Acqua di Pietra, Pietra d’Acqua”, mostra di pittura di Ivana Di Pisa alla Galleria d’Arte Studio 71, Palermo

catalogo

“Acqua di Pietra, Pietra d’Acqua” è la mostra di pittura di Ivana Di Pisa esposta alla Galleria d’Arte Studio 71 e presentata in catalogo da Vinny Scorsone.

 Ivana Di Pisa è una pittrice palermitana, la cui prima personale risale al 1975, quando l’artista prediligeva dipingere paesaggi tipicamente siciliani, scorci di strade e case di piccoli paesi. Negli anni successivi ha sperimentato le tecniche dell’incisione e della decorazione della ceramica e della cartapesta. Tornata alla pittura nel 2010 ha continuato ad indagare e rappresentare paesaggi e scorci siciliani, utilizzando acrilici e spatole e sperimentando una sorta di pittura “reminiscenziale”, che allontanandosi dai canoni più rigidi del figurativo, imprime nelle tele sensazioni oniriche e rievocative.

Osservando le opere di questa artista percepisco un grande sentimento per il mare, per la Sicilia e per Palermo in particolare. Riconosco la città di Palermo anche quando questa forse non c’è, ma emerge dalle tele con la sua forza a volte cupa, a volte contrastante, di mare e di pietra. Natura e città costrette in un abbraccio vitale, ma stridente, a volte soffocante, pietroso, lapidario, in un’apparente staticità che svela improvvisi guizzi di vita sanguigna.

Domando alla pittrice: “Quanto amore c’è per Palermo in queste opere?”. Mi risponde che c’è tanto, tantissimo amore, per Palermo e per la Sicilia. Mentre ad alta voce cerco di capire quali siano gli scorci rappresentati, mentre cerco di distinguere tra palazzi, monti, cieli, gru, per ritrovare i luoghi esatti, lei dice: “non riproduco, non copio luoghi, le mie sono delle impressioni o meglio il ricordo di luoghi che ho visto”. Quelli rappresentati sono infatti scorci di Sicilia filtrati dalla memoria dell’artista, non c’è panorama che esista realmente, ma tutti i luoghi allo stesso modo esistono e sono veri.

Le tele esposte sono interessanti. Spazi pieni, pieni di case, pieni di muri, di porte, di tetti, di forme e geometrie, pieni di palazzi e finestre, di acqua e pietra. Sono equilibrate, non ci sono vuoti, ma niente è superfluo. Non ci sono ampiezze, ma nemmeno costrizioni. C’è il mare, l’acqua che è elemento della natura ed il cemento delle case create dell’uomo, che è assente-non assente. L’acqua, solida e materica come la pietra, si fonde con questa diventando un unico corpo. Tutto quello che appare è mediterraneo, ma è una differente visione del Mediterraneo. Diversa ma vera, esistente anch’essa, anche se meno convenzionale. Mancano i colori con cui è rappresentato usualmente questo territorio, colori forti, solari, sgargianti. Qui c’è un’aria fredda, c’è l’atmosfera dell’alba che colora tutto di un chiarore soffuso, l’aria dell’imbrunire quando il cielo comincia a scurire e la luce lascia spazio a nuove ombre, minori contrasti, piccoli bagliori. C’è il tramonto nel momento in cui sta per svanire, veloce come il sole che soffoca dentro al mare, creando dei colori caldi, ma profondi. C’è il bagliore accecante di certe giornate afose quando il cielo e il mare sembrano quasi bianchi. Ci sono le suggestioni dell’inverno, perché anche il rovente Mediterraneo ha i suoi freddi che gelano l’anima, ha la sua sfera melanconica ed introspettiva. Perché non sempre tutto è colore e vociare, a volte è silenzio.

E tra le gru dei cantieri navali, tra le le barche del porto, un porto che non so più riconoscere, perchè forse è uno dei tanti che dimorano da sempre nella mia mente e che si risveglia in queste nuove osservazioni di visioni suscitate dall’arte, c’è una barca arenata, è quella barca che trasporta esseri umani, è forse uno dei relitti che campeggiano nelle rive di Lampedusa. In questo quadro, che tra tutti è l’unico dove un brandello di giornale incollato alla tela ci mostra la presenza di esseri umani, emerge che il Mediterraneo è molto di più di quello che solitamente ci viene raccontato o che vogliamo vedere. E’ porta chiusa e dischiusa, è pietra tombale, è lacrime, è speranza, è rinascita, è vita. E’ tra Acqua di Pietra e Pietra d’Acqua, la vita c’è.

La mostra è visitabile fino al 12 novembre 2016 presso la Galleria d’Arte Studio 71, in Via Vincenzo Fuxa n. 9 a Palermo, dalle ore 16.30 alle 19.30 tutti i giorni escluso i festivi.

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L’incontenibile leggerezza di Enzo Sciavolino

Sabato 17 Settembre è stata inaugurata la mostra di Enzo Sciavolino presso la Galleria d’arte Studio 71 in Via Vincenzo Fuxa, 9 a Palermo.

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La mostra composta da 35 incisioni ed una scultura di bronzo è stata curata e presentata dal critico d’arte e scrittrice Vinny Scorsone. Il momento dell’inaugurazione, durante il quale oltre all’artista e alla curatrice sono intervenuti il gallerista Francesco Marcello Scorsone, Gonzalo Alvarez Garcia e Aldo Gerbino, è stato molto partecipato, come una festa che ha avvolto Sciavolino di calore, affetto, stima e amicizia.

Vinny Scorsone che ha presentato la mostra, nel suo testo introduttivo scrive: “Quello che Sciavolino compie con questa mostra è un viaggio all’interno del proprio percorso artistico segnando differenze e affinità tra ciò che è stato e ciò che è divenuto. Gli stessi temi, negli anni, hanno subìto una trasformazione. Se, difatti, in principio l’elevazione verso le sfere celesti era affrontata in maniera utopica e veniva frenata da una realtà soffocante e cupa, negli ultimi decenni, invece, essa è riuscita a distaccarsi dalle grettezze della vita quotidiana per tendere a qualcosa di più eterno e atemporale.”

Vinny Scorsone ci guida in un viaggio all’interno di un diario di più di cinquant’anni di attività, costituito dalle opere di Sciavolino, un percorso artistico i cui temi sono spesso ricorrenti, ma che si sono trasformati stilisticamente e contenutisticamente col passare degli anni. Cambiano i tratti e le linee, prima più aspre ed ora più morbide, anche i colori, più scuri nella prima produzione, adesso divengono vividi, aperti. Prevalgono gli azzurri. Ci racconta di come preponderante nella produzione artistica di Sciavolino sia il volo. L’angelo che nel passato era un Icaro cadente, nelle opere più recenti comincia a librarsi verso l’alto. Nel passato c’era l’utopia, nel presente la verve polemica che caratterizza le opere e la personalità di Sciavolino, rimane presente, ma si è attenuata ed è diventata più dolce. Il suo tratto, conclude Vinny Scorsone, ora è “più ricco di amore e desideroso di armonia. L’opera di Enzo Sciavolino è portatrice di armonia, che forse è l’unico modo, l’unico mezzo che abbiamo per salvare noi stessi e questo mondo che sta andando allo sfacelo”.

Interviene subito dopo Enzo Sciavolino riprendendo la frase di Dostoevskij: “la bellezza salverà il mondo”. Ci dice: “Ho molto meditato su questa frase, anche aiutato dalla inafferrabilità della verità poetica, frequentando poeti come Gonzalo Alvarez Garcia, come Aldo Gerbino, che sono qui e li ringrazio per la loro presenza, e scrittori come Tahar Ben Jelloun, che scrive anche poesie, come Vincenzo Consolo, Carlo Levi ed altri. Lungo il mio viaggio, che ormai dura nell’arte da quasi sessanta anni, ho incontrato, ho avuto la fortuna di cercarli e trovarli questi preziosi amici e compagni di viaggio verso la poesia, perché per me la poesia è la verità, è quell’arte inafferrabile, ma è anche presente, afferrabile. Questo non vuole essere un controsenso, è come la musica, non c’è cosa più astratta, più lontana della musica, però ti commuove, la senti dentro, e così è la poesia. Ogni artista penso, questo è il mio credo poetico, deve tendere alla verità, che è la poesia. Vi ringrazio e spero che apprezziate il mio lavoro che sia vademecum per fare altro più importante ancora.

Le opere di Sciavolino ci proiettano proprio in un mondo di poesia e verità. Soavi e delicate, sognanti e lievi, ma contemporaneamente vigorose e sincere, dal significativo impatto visivo, mostrano il mondo per quello che è, in tutta la sua crudezza, ma anche le sue speranze e possibilità trasformative e salvifiche. Seguendo il tracciato indicato da Vinny Scorsone, si scorge immediatamente la continuità e contemporanea discontinuità tra passato e presente in Sciavolino. Se nel passato a prevalere è la bicromia del bianco e nero, nel presente cambiano le atmosfere, i colori, i tratti.  Perché è la realtà che è mutata. Cambia l’uomo, cambia l’artista e cambia anche la sua opera. Le incisioni realizzate durante gli anni ’60 e gli anni ‘70 rappresentano uno sguardo lucido sulle asprezze del mondo. C’è la denuncia del malessere sociale, c’è la Torino industriale con tutte le sue contraddizioni. L’uomo macchina è rappresentato da una testa vuota sorretta da una morsa, svuotato di identità e strangolato da una garrota franchista che gli impone l’estrema sentenza di morte, erano anni in cui questo avveniva in una dittatura così poco distante dall’Italia.

E’ questo un tempo di grandi tormenti, di speranze generazionali e di classe. Guerre, totalitarismi, lotte armate. Ancora le classi sociali apparivano ben definite ed in evidente antinomia tra loro. Anni di grandi passioni, scontri, illusioni e disillusioni. L’utopia era rivoluzionaria, “solo il movimento poteva cambiare la storia”. Anche il Marxismo, ormai sclerotizzato e politicizzato, andava rivisto, messo in discussione, reinventato. Sciavolino non a caso, andando a Parigi, diventa amico del filosofo francese Althusser che voleva “liberare” Marx dalla polvere che la storia e l’ortodossia gli avevano depositato addosso, tra cui le incrostazioni malefiche dello stalinismo.

Sciavolino in tutte le sue opere rappresenta il volo, che però negli anni 70 è precipitazione, è un volo verso il baratro della condizione umana. C’è l’operaio che cade da un’impalcatura a rammentare quelle così dette “morti bianche”, simbolo del lavoro che aliena l’uomo trasformandolo in un numero, svilito e disumanizzato, un nome senza identità in un elenco, anche mortuario.

C’è la seduzione delle armi, rappresentata in una pistola posta su un vassoio, il simbolo negativo di una lotta fallace che ha usato gli stessi mezzi di ciò che voleva combattere. La speranza c’è, è nel bisogno di cambiamento, nell’amore paritario e condiviso, nell’ armonia tra i generi, nel bacio, nell’ulivo inciso che sembra tenuemente acquarellato e nella musica suonata da un violinista, poeta di un’arte che libera. C’è la ricerca dell’equilibrio, l’instabile binomio tra reale e utopia, la crisi dell’idealità. “Il giocatore di perle” fa pensare al romanzo filosofico fantasy di Herman Hesse, “Il giuoco delle perle di vetro”, in cui l’autore immaginava una futura società utopica costituita da intellettuali distanti dalla società del passato, decadente e oscura, dediti a un gioco “perfetto”. Il protagonista stanco di quel gioco e di un mondo ideale e che troppo si era astratto dalla realtà, ascolterà la vita che con la sua continua evoluzione, lo richiama a sé. Torna così libero tra gli uomini con tutti i rischi che questo comporta, anche la morte. Diceva Hesse “Non basta disprezzare la guerra, la tecnica, la febbre del denaro, il nazionalismo. Bisogna sostituire agli idoli del nostro tempo un credo”.

Una presenza costante nelle opere in mostra è la colomba della pace, il cui volo questa volta è ascesa. La concezione della vita di Sciavolino potrebbe essere racchiusa in una delle sue opere in cui è semplicemente delineato “l’uovo”, all’interno del quale si vedono due mani che lo rompono. La vita e la morte sono già in embrione prima ancora che la vita nasca. E’ la sintesi che contiene la sua affermazione, il suo sviluppo e la sua stessa negazione. Vita e morte in un unico nucleo, che è il fulcro dell’esistenza dove tutto è ciclico. Come lo è forse della vita, questo sembra anche il senso dell’arte: nel nucleo primordiale della materia sta già l’idea dell’opera che nascerà, e forse prima o poi muterà e deperirà, creando altro. Michelangelo diceva a tal proposito: “Tu vedi un blocco, pensa all’immagine: l’immagine è dentro basta soltanto spogliarla” ed anche: “Ho visto un angelo nel marmo ed ho scolpito fino a liberarlo”. Forse non è un caso che Sciavolino abbia usato quello stesso marmo bianco estratto dalle Cave Michelangelo di Carrara.

Nella produzione attuale si percepisce che il mondo è cambiato, anche se è sempre uguale, costanti rimangono guerre, mortificazioni, sofferenze, lotte e amore. L’artista sembra non smettere mai di domandarsi: “in che modo posso cambiare il mondo?”, “In che modo la bellezza può cambiare il mondo?”. E se per Dostoevskij la bellezza da inseguire era la compassione, “quella che ci porta all’amore condiviso con il dolore”, in Sciavolino la risposta è la poesia. L’utopia da lotta diventa sogno, si fa leggerezza, levità, cura alle ferite di una società sofferente. Armonia e ricerca di pace, anche interiore. E’ pace che trasmettono le opere attuali dell’artista di Valledolmo. Sono presenti tanti simboli positivi, l’uccellino, il cavalluccio marino, il melograno. C’è la neve e la luce, della ragione forse, entrambe portatrici di verità. La verità si confronta costantemente con le maschere imposte dalla società, in una pirandelliana ricerca della vera essenza dell’essere umano, sempre al centro della produzione di un artista interessato visceralmente alla “condizione umana”. Una maschera tridimensionale, che appare scolpita come fosse una di quelle che si adoperavano nel teatro antico è l’autoritratto dell’autore, intitolata per l’appunto “Is sum qui faciam”.

Anche l’amore in una delle incisioni si fa maschera, in un bacio, che nel suo intreccio ricrea un unico volto, ma è una maschera. L’amore salvifico si esprime nella madre che allatta, nel fiore donato, in un volo verso l’alto, nell’infanzia con il suo sguardo sognante che offre l’unica speranza alla pace, nel viaggio verso l’orizzonte, in un angelo umanizzato che non è più quell’Icaro cadente, ma che libero si abbraccia all’albero della vela di una fragile barchetta di carta ed è anche il putto di bronzo che si inerpica verso l’alto nella scultura intitolata “Incontenibile leggerezza”, la cui materia apparentemente pesante non è mai in contraddizione con il suo titolo.  L’angelo con le sue ali vola perché è forse nel sogno dell’idealità, che mai è metafisica, che si nutre la speranza di cambiamento per l’essere umano.

In un breve scambio subito dopo l’inaugurazione, domando all’artista come mai avesse scelto come simbolo proprio l’angelo, che è comunque una immagine religiosa, ma che in questo caso probabilmente nulla ha di religioso. Mi risponde che non c’è nessun legame con la religione: “Credo nell’uomo e nell’umanità, anche se a volte l’uomo può essere una bestia, un animale. Però nell’uomo c’è qualcosa che lo può migliorare, c’è sempre la speranza che cambi”. Gli domando se le maschere sono un richiamo a Pirandello, mi dice che ha molto studiato ed indagato Pirandello. A partire dall’immagine dell’operaio che precipita in basso da una impalcatura ed a quella che rappresenta i partigiani, gli chiedo se è vero che nelle opere del passato sia più presente l’utopia intesa come rivoluzione, mentre adesso c’è più l’utopia intesa come sogno. Risponde che quando ha cominciato a lavorare a Torino ha molto frequentato la classe operaia, quella che oggi non esiste più. Una classe operaia in quegli anni più cosciente, non c’era razzismo, mi dice, loro non erano razzisti verso gli emigranti, ad esempio i siciliani emigranti come lui. Questo non avveniva soltanto perché sentivano la vicinanza empatica con chi era segnato da un comune destino difficile, ma perché erano persone più consapevoli.

Rifletto quindi sul compito ed il contributo di un artista che cerca la verità, che alimenta la coscienza e il sogno di un mondo più a misura umana, che anche se a volte perde o vacilla, mantiene sempre quel soffio leggero, che è speranza e ricerca di verità, fiducia nell’umanità, nella bellezza e nell’arte, uniche risposte alla barbarie del presente, che hanno la potenzialità di creare armonia, di pacificare, come pacifica una musica che ti commuove o il verso di una poesia.

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La mostra sarà visitabile fino al 3 ottobre 2016 tutti i giorni, festivi esclusi, dalle ore 16.30 alle 19.30 galleria d’arte Studio 71 via Vincenzo Fuxa n. 9 – 90143 Palermo tel. 091 6372862.

Le foto dell’evento sono di Maria Pia Lo Verso, le foto delle incisioni sono tratte dal sito http://www.enzosciavolino.it

A Cinisi il “Diario segreto” della pittrice Antonella Affronti, dialogo con l’autrice

A Cinisi Antonella Affronti espone il proprio “Diario segreto”, una personale di pittura, curata da Francesco Marcello Scorsone, che colpisce profondamente l’osservatore. E’ grande l’impatto emotivo e visivo che suscitano queste opere che l’artista ha dipinto nel 2005.

In trent’anni di impegno e ricerca pittorica, il cui racconto è presente nella monografia intitolata “Diario pittorico” che è stata presentata a Palermo presso la Galleria Studio 71 nell’Aprile 2015, Antonella Affronti ha scandagliato i differenti aspetti che la natura può assumere nelle sua evoluzione, nelle sue forme, nei suoi aspetti molteplici, dalla delicatezza sensibile delle trasparenze più soffianti e velate, alla solidità della pietra. Ha plasmato la materia con estrema maestria ed eleganza, ha affrontato la fisicità corporea mettendo in risalto la fluidità, la tensione muscolare, l’energia, la passione, la voluttuosità mai cedevole o stanca, la forza carnale e la spiritualità sublime. Un percorso, quello di questa pittrice, che ha visto grandi trasformazioni, ma che ha mantenuto sempre una costante, una unicità che la rende sempre e comunque riconoscibile, il suo sguardo curioso alla sostanza, all’essenza che rende tale il mondo che la circonda, che la coinvolge. Quella vibrazione energetica costante, quell’impatto cromatico che segna lo spettatore, sia quando i colori sono caldi, vitali, netti,  sia quando diventano più freddi, grigi come la pietra e quasi taciturni, ma mai deboli, perché carichi di sensibilità e di significati da leggere e decifrare.

Le opere, che rimarranno esposte al ristorante pizzeria Al Capriccio in via Nazionale n. 85 a Cinisi fino al 31 dicembre 2015, fanno parte di un periodo specifico, una ricerca sul corpo umano e i suoi movimenti fatto attraverso una sorta di matassa di fili che, con meticolose spirali che mai sembrano ingarbugliarsi tra loro, costruiscono la plasticità tridimensionale di ogni stato dell’animo  e delle relazioni umane.

Dopo aver osservato queste tele di grande dimensione e di grande influsso ipnotico, ho l’occasione di dialogare con questa artista. Ripensandoci credo che sia una di quelle occasioni in cui mi sarebbe piaciuto oltre che far leggere, far ascoltare l’intervista, perché Antonella Affronti sa pronunciare parole significative, precise, determinate e coerenti con una voce magnetica quanto lo sono le sue opere.  Continua

“Men” mostra di pittura di Tiziana Viola Massa, intervista all’autrice.

In questi giorni si sta svolgendo, presso la  Galleria Studio 71 di via Fuxa a Palermo, la mostra di pittura di Tiziana Viola Massa intitolata “Men”, dedicata agli uomini che l’artista spoglia da ogni apparenza. Nudi sono i corpi raffigurati, ma al contempo vestiti di ogni paura, contraddizione, fragilità ed in questo svestimento sono resi veri, autentici, umani, ma anche metafisici davanti agli occhi di chi li osserva. La mostra curata da Marcello Scorsone e Vinny Scorsone è presentata con testi in catalogo scritti da Vinny Scorsone, che è autrice anche della  toccante poesia  che apre il  catalogo, ispirata da uno dei quadri più significativi di tutta la mostra. “L’ascesa” è una tela che mi è impossibile non accostare a un’immagine dell’iconografia cristiana, Maria è ai piedi del Cristo nell’atto di dargli  l’ultimo abbraccio materno prima dell’addio; l’uomo ferito, morente tenta di lasciarsi andare lievemente verso l’alto, come per abbandonare la sua croce verso qualcosa di extracorporeo, trattenuto da un rassegnato abbraccio d’amore. L’autrice accompagnando i suoi visitatori spiega che quella donna non è necessariamente la Madonna, la madre, ma può anche essere la compagna, la donna che ama. E’ forse l’atto di un estremo addio e mentre riecheggiano nell’aria i versi scritti da Vinny Scorsone “Rimani con me affinchè io possa abbracciarti ancora una volta, ancora una notte. Il tuo corpo si piega e si tende ad un passo dall’annullamento”, Tiziana Viola Massa ci spiega che la croce non è fuori dall’uomo, ma è l’uomo stesso ed il quadro è dedicato al rapporto amoroso che crea una simbiosi tra corpi e anime.

L'ascesa

Le tele di Tiziana Viola Massa sono vibranti, comunicano e suscitano emozioni ed empatia, i corpi sembrano librarsi fuori dal quadro, composti da materia densa che li rende tridimensionali, vivi. Emergono ferite, i muscoli sono tesi, in continuo movimento, ma si tratta di un movimento che scorre lentamente. Sono uomini in balia della vita, quasi abbandonati a se stessi, alla ricerca di qualcosa di trascendente al di fuori di sé ed al contempo tormentati dalle proprie paure e debolezze tutte umane. Sono corpi nudi, non c’è nulla da nascondere, nulla da censurare, non c’è scandalo in queste opere, la nudità non è ammiccante, mai  è peccato. In un corpo nudo non c’è vergogna, sono i moralismi, le falsità, le ipocrisie a rendere volgare l’umanità, questo appare nitido in una mostra dove  il corpo nudo è purezza sensuale, natura, riflessione, dolore, vita.

studio per nudo maschile

Nella tua produzione artistica un ruolo importante ha avuto l’arte sacra ed anche nelle opere di questa mostra la spiritualità emerge come filo conduttore. Oltre “l’Ascesa” c’è ad esempio il quadro intitolato “la giovane croce” che mostra l’infanzia negata dalle guerre e dalla violenza in generale, dove il protagonista è il corpo di un giovane ragazzo metaforicamente crocifisso. Si intravede una certa esigenza di trascendenza dalle tue opere. Parlami del tuo rapporto con la religiosità.

La religione mi ha influenzata, certo. Sembrerà contraddittorio però io purtroppo non sono molto praticante, forse cerco di espiare questa cosa attraverso la pittura. Per me nel realizzare arte sacra, più che la rappresentazione, contava entrare dentro il verso biblico interpretandolo e questa interpretazione mi avvicina molto più di altro alla spiritualità. Anche se questa mostra è incentrata sul nudo maschile io ci tenevo ad inserire un’opera che si rifacesse alla croce, però più quotidiana rispetto al divino in sé.

Nei tuo quadri sono rappresentati tanti corpi nudi, ma anche sguardi mistici, estatici, può essere quindi l’arte un veicolo per  coniugare la carnalità alla spiritualità? La religione spesso tende a censurare il corpi, qui  invece c’è l’esaltazione di questi, emerge che non c’è  vergogna nel nudo.

L’unica cosa che posso dire è che secondo me la spiritualità nasce dal corpo, pensiamo sempre che la spiritualità e che il divino siano  qualcosa di astratto, ma io ho sempre pensato che Gesù prima di tutto sia stato un uomo, quindi secondo me la verità sta nell’uomo in sé, uomo o donna che sia, nella carnalità della persona che poi si evolve e aspira a qualcosa di più. L’arte sacra parte dagli uomini.

Non credo che Gesù sia stato crocifisso con il pareo come si è soliti pensare. Secondo te, mentre era martoriato, umiliato avevano il tempo di coprirlo? Hanno cercato di umiliarlo ancor di più nella nudità, mentre io lo volevo eleggere a ciò che è, a ciò che di vero c’è, perche secondo me le persone sono vere anche quando si specchiano nella loro nudità. Vuole essere un ritorno primordiale a quello che siamo veramente.

la giovane croce

La tua scelta come artista ed anche donna di dipingere nudi maschili è stata abbastanza coraggiosa, quanto tu  ti sei dovuta spogliare dei tuoi tabù?

Si è vero non è stato facile, devo dire che in questo mi ha aiutato molto Vinny (che ha curato la mostra), quando ho cominciato a dipingere ricordo che l’ho chiamata e le ho detto: “ma posso mostrare le cose per come sono, oppure devo celare perché esistono sempre questi tabù?”. Lei mi risponde: “no perché in pittura non ci sono tabù, devi essere libera, non avrebbe senso altrimenti fare questa mostra”. Non è stato facilissimo. Siamo più abituate a ritrarci noi donne, anche perché il corpo maschile è difficile da rappresentare, non si può improvvisare, bisogna fare delle pose dal vero, degli scatti. Non è stata una passeggiata, io finora avevo sempre dipinto donne, tranne la figura più legata all’arte sacra, il Santo, che è sempre uomo però… Trovarmi invece con guerrieri, con  la forza, la virilità, è stato come fare tutto un altro tipo di  discorso. Però a parte l’inizio più difficoltoso, mi sono poi venute in mente nuove idee su questo tema da continuare ad approfondire.

Come  vivi il connubio tra essere donna e artista?

Che ti devo dire che non è facile essere donna e artista? Noi abbiamo più cose da fare, perché l’uomo spesso chiude casa e se ne va e può fare l’artista, noi abbiamo altre cose a cui non vogliamo rinunciare e non sarebbe giusto farlo perché sono dei valori aggiunti. In questa città puoi fare sempre qualcosa di impegnativo, che non è mai stato fatto, ma non avrà mai, con tutto il sacrificio anche delle persone che ti stanno dietro, la rilevanza che potrebbe avere in altre città che danno spazio effettivamente alle cose nuove. Ci sono i  politicanti, i partiti, questo da un po’ fastidio, in qualche caso c’è anche un po’ di maschilismo, ma io questo non l’ho vissuto, sono stata fortunata.

Ritornando alla mostra, c’è rappresentata la guerra con i suoi eroi ed il gioco. C’è il palloncino, l’aquilone, il cavallo a dondolo…

Questi elementi fanno parte entrambi della vita, sono due aspetti con cui  l’uomo deve fare i conti sia quando è giovane nel gioco e  poi quando cresce e si rende conto che deve affrontare determinate cose difficili, non solo la guerra in sé, ma anche i problemi della quotidianità.

Nei tuoi quadri c’è il guerriero rappresentato attraverso figure quali Ulisse, Leonida, Anchille, ma anche l’ uomo fragile. Quale uomo volevi fare emergere?

La nostra è stata una provocazione,  c’è l’uomo guerriero, però se tu guardi bene tutti questi uomini sono fragili, perché per me in questo momento l’uomo è fragile, noi donne forse perché abbiamo più cose da fare, forse perchè dobbiamo dimostrare di più, nella vita in generale lo siamo meno, invece l’uomo da solo è più debole, ha bisogno del sostegno della donna. E’ una provocazione perché anche la potenza degli eroi e dei guerrieri è contenuta, non c’è un’esplosione di forza. Se guardiamo a quello che succede oggi l’uomo o utilizza la violenza per sopraffare la donna o al contrario tende ad assomigliarle, è un momento di confusione perché spesso non ci riusciamo a capire tra noi. Da qui è nata la provocazione.

Achille

In alcuni quadri per esempio ne “Il tempo, il corpo e il gioco” dove rappresenti tre generazioni, ci sei tu, anche se non sei ritratta, ci sei come mamma, figlia, compagna.  Poi c’è il quadro intitolato “Ti vestirò di soli sogni” dove ti ritrai nell’atto di dipingere un uomo. Sono prevalenti gli uomini, ma è evidente che ci sei anche tu in questi quadri.

In realtà in questi quadri si vedono solo due donne, il mio autoritratto e la donna che abbraccia l’uomo nell’ascesa, per il resto la mostra è tutta dedicata agli uomini, però forse è un modo per esserci, per dire: “ci sono. Nonostante ci siete voi, forse è perché in un minimo ci siamo noi”.

Il tempo,il corpo e il gioco

Scopro che Tiziana Viola Massa ha cominciato a disegnare da bambina creando vestiti per gioco, poi ha continuato intraprendendo studi artistici, ha iniziato appassionandosi all’espressionismo, utilizzando colori caldi, mentre adesso la sua tavolozza è più calma, ha tante idee da elaborare e nuovi progetti da portare avanti.

Quella che ho incontrata è una vera artista, che non ha bisogno di tante parole per essere raccontata, bastano le sue opere a trasmettere emozioni, a scuotere l’animo umano, ad uscire fuori dalla realtà per entrare nel suo mondo fatto di pulsioni e palpiti.

La mostra è visitabile entro il 24 Ottobre 2015. Per informazioni visitare il sito http://www.studio71.it/pagine/tiziana.htm

Antonino G. Perricone, talento artistico e tempra umana

Il 24 giugno 2015 leggo un post su Facebook scritto dalla pittrice Antonella Affronti: “Antonino G. Perricone se n’è andato”, poche parole che comunicano una grande tristezza.

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Antonino G. Perricone è stato un grande disegnatore, incisore, scultore, pittore, punto di riferimento per l’arte contemporanea siciliana e, se pur per pochi anni, anche gallerista, ma soprattutto è stato un uomo ed artista dal carattere deciso e tenace, questo è quello che emerge dalle sue opere e dai racconti degli amici e di chi ha condiviso con lui lunghi tratti del suo significativo cammino artistico.

Ho conosciuto personalmente Antonino G. Perricone in due occasioni legate alla mostra collettiva “Ci vediamo al Margaret Cafè”, prodotta dalla Galleria Studio 71 di Palermo, nella quale era esposto anche un suo quadro. La prima volta al Margaret Cafè di Terrasini il 5 dicembre 2014, e poi a marzo del 2015, quando la mostra si spostò a Palermo alla Libreria del Mare. In entrambe le occasioni, per timidezza, grande emozione e riguardo nei suoi confronti, non ebbi modo di parlargli o rivolgergli qualche domanda, come avrei voluto, però nella seconda occasione che lo vidi, mi trovai coinvolta in un piccolo momento scherzoso durante il quale, sorridente, ci raccontava che da ragazzo portava la barba, poi tolta per amore della moglie. In quel momento, quell’aria apparentemente burbera lasciò spazio alla simpatia e ad uno sguardo dolce, di uomo, se pur sofferente, ricco di un grande carattere. Un piccolo ricordo che tengo caro. CONTINUA su cinisionline

“Mediterraneo, fossa comune”, il racconto del Recital e le parole intense di Emilia Ricotti

Ecco l’articolo intervista che ho scritto subito dopo il Recital “Mediterraneo, fossa comune” di Emilia Ricotti, al quale ho avuto il piacere di partecipare con la mia mostra dedicata alle “Donne migranti”.

“Mediterraneo, fossa comune”, svoltosi lo scorso 27 Giugno, è stato un Recital di poesie, pensato e realizzato dalla professoressa, scrittrice e drammaturga Emilia Ricotti, organizzato grazie all’ associazione Simposium di Terrasini.

Eravamo ospitati nel meraviglioso scenario offerto da Torre Alba. Di fronte a noi solo la torre ed uno di quei suggestivi tramonti che soltanto a Terrasini si possono vedere.

Tante persone hanno partecipato a questo momento di riflessione collettiva ed in un sabato sera non era certo una cosa scontata, anche per questo il risultato assume un senso ancora più forte.Emilia Ricotti inizia a leggere i suoi versi che raccontano il dramma di Lampedusa, dei morti in mare. Ogni parola è come una lama che incide e fa sentire il dolore di tante persone su ognuno di noi, sono però parole di cura, fanno male, ma ci ricongiungono col nostro senso di essere/i umani. Raccontano lo sfruttamento del popolo africano e la tragedia di chi sceglie di fuggire da questi luoghi depredati. CONTINUA su cinisionline

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Intervista alla Pittrice Naire Feo che racconta le leggende siciliane con i suoi quadri

Incontriamo Naire Feo il giorno dell’inaugurazione della mostra “La mia Isola. Leggende siciliane”. Siamo al Margaret Cafè, in un tavolo all’esterno del bar per respirare il fresco della sera dopo aver trascorso un bel pomeriggio accompagnati dalla vista dei quadri di questa artista siciliana, da letture e dalla musica del Maestro Innocenzo Bua. La nostra più che una vera intervista è una chiacchierata a tre, visto che assieme a me c’è Pino Manzella. Siamo rilassati e sorridenti… CONTINUA

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Lo sguardo dell’altro. Intervista

Una bella emozione essere stata intervistata, dopo la mia esperienza in Sardegna al Festival della legalità “Conta e Cammina”,  per Bentos.it (giornale di Marghine, Planargia e Montiferru in Sardegna) da Luca Contini.

 Bentos

Lo sguardo dell’altro: Macomer è bella vista dagli occhi dell’artista Evelin Costa

di Luca Contini                  28 aprile 2015

“Macomer è una graziosa cittadina”. Così dopo una settimana di permanenza in città, ha scritto la giovane artista Evelin Costa al suo rientro in Sicilia dopo l’intensa esperienza vissuta al Festival della legalità Conta e Cammina organizzato dal Centro servizi culturali e dalla Cooperativa Progetto H di Macomer. Un giudizio inusuale e che, di per sé, fa notizia. In alcuni anni città ricca e dinamica, in altri emblema del settore industriale, per un lungo periodo città di servizi e di opportunità, ma bella e graziosa, di Macomer, non lo pensiamo neanche noi che ci abitiamo. È curioso sentirselo dire da chi arriva da lontano e ci guarda con occhi diversi. Ancor di più se quegli occhi hanno la sensibilità di chi frequenta l’arte e la bellezza. Nata a Palermo nel 1976, Evelin Costa vive aTerrasini dal 2010. Ha studiato Filosofia e da sempre è impegnata nel sociale ed in ambiti culturali. Le sue principali attività? Scrivere e dipingere. Blogger dal 2008, si occupa di cultura, tradizioni e storia della gastronomia siciliana. Collabora con alcuni siti e giornali online. Dipinge da autodidatta, soprattutto ritratti. Nel 2013 la sua prima mostra di pittura Donne del Mondo, promossa dall’Associazione AsaDin, affrontava la ricerca del sé e dell’altro a partire dal tema delle donne e dell’immigrazione. Quanto basta per chiederle:

Cosa hai trovato di bello a Macomer?

Dopo aver attraversato parte della Sardegna in auto… CONTINUA su bentos.it