Lo “spezzatino aggrassato” e la speranza nel futuro

Lo spezzatino è un piatto che parla di casa, famiglia e infanzia, parla di quella “ricchezza povera” fatta di calore e sentimento; un sapore forse ormai desueto, antico, che ricorda il passato, quando, malgrado le difficoltà  c’era una grande aspettativa nel futuro ed una speranza di miglioramento, che permettevano alle persone di accontentarsi di poco per essere felici, perché si era comunque certi che un tempo migliore sarebbe arrivato per tutti, e quindi anche un piatto fumante di spezzatino di carne (forse con più patate che carne) dava gioia e senso di unione familiare.

spezzatino aggrassato

Oggi è più difficile rigenerare certi sentimenti perché il futuro è un’incognita e non basta più un piatto caldo a ridare speranze, però a me piace provarci, mi piace riassaporare i gusti tradizionali, semplici, rasserenanti, li apprezzo e mi confortano.  continua

Una pausa pranzo in stile palermitano a base di frittatine al forno

Questo post nasce per partecipare al contest del blog Pasticci & Passticcini di Mimma, che è dedicato a quei cibi consigliabili per la pausa pranzo, quindi veloci da preparare, facilmente trasportabili, genuini, non troppo pesanti e gustosi.

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In questo post come ho scritto sopra, parleremo di pausa pranzo e soprattutto del pasto consumato fuori casa, quando si è sul luogo di lavoro e per il poco tempo a disposizione non si ha la possibilità di ritornare a casa o di usufruire di una mensa.

frittatina 032

Palermo, potrebbe essere definita la patria della pausa pranzo, è pienissima di bar, pasticcerie, rosticcerie, focaccerie, forni, motoapi (dove si produce e vende cibo), etc, dove  poter trovare  la più grande varietà e quantità di cibi da consumare velocemente e magari anche  all’aperto (visto il clima benefico), ma soprattutto pagando dei costi davvero esigui. continua

Le Scacce modicane preparate da una palermitana

Scaccia

Nascere a Modica sicuramente mi sarebbe piaciuto: come non amare una cittadina barocca, storica, una vera gemma della Sicilia, patria del cioccolato, del biancomangiare, delle scacce, delle impanatigghe ed in più, ricca di tornanti e con una lunga scalinata nella quale smaltire i chili presi mangiando tutto ciò precedentemente elencato? continua

Il mio amore per Palermo e “U caciucavaddu cu sucu e u riano”

Anche se ormai da due lunghi anni non abito a Palermo, la mia città è sempre presente in me che di lei, “Regina dei tempi passati”, sono da sempre appassionata.

Poi succede che la politica torni a fartene parlare quotidianamente, a fartela pensare, a fartela anche compiangere, con amarezza, ma con la speranza o forse l’illusione che qualcosa possa cambiare e che questa Perla ormai opacizzata ritorni  a splendere.

Poi ci si ritrova ad assistere a strane trasformazioni (con la solita paura gattopardesca che tutto si trasformi per non cambiare mai), a guerre intestine forse troppo accese,  al vecchio che viene visto come nuovo e il nuovo che viene prospettato come vecchio, in una confusione pazzesca e al non sapere mai cosa è meglio per Palermo, una città martoriata da sempre, una città spaventata, che ha paura di guarire, soprattutto in tempi di crisi  quando le cure sembrano più dolorose della malattia.

Non voglio qui fare un’ analisi delle appena passate elezioni e tantomeno previsioni riguardo alle nuove, non per superficialità ma perché credo che queste valutazioni meritino spazi e approfondimenti più adatti, spero solo che alla fine di tutto ci sia una pacificazione e una speranza.

Ritornando all’inizio del post, quando ti ritrovi a parlare ogni giorno di qualcosa, in questo caso di Palermo, ti domandi come e quando sia nato questo amore: il mio primo interesse per la mia città nacque alle scuole elementari quando la mia dolcissima maestra portò me e tutti i miei compagni, insieme ad un archeologo, a visitare il centro storico. Di quel giorno ho tanti ricordi anche se non tutti nitidissimi, quando quell’ archeologo cominciò a descrivere il nostro bel Fiore, quando ci presentò le vecchie mura attorno al Palazzo dei Normanni, mi emozionai tanto e ricordo perfettamente che toccai quelle antiche pietre per sentirmi parte di loro e di tutta quella umanità che le aveva sfiorate prima di me. In quell’occasione e in altre successive visitammo i monumenti più importanti ed in quel momento decisi che sarei diventata archeologa (uno degli infiniti miraggi abbandonati negli anni).

Ovviamente non sono diventata archeologa ma l’amore per Palermo e per la storia non mi ha mai abbandonata.

E l’amore per Palermo ancor di più lo sento quando “approfondisco” la cucina palermitana… una cucina dove la fantasia spesso si sostituisce alla ricchezza.

Per esempio qualche giorno fa mia madre ha preparato un piatto della cucina povera palermitana, davvero economico, semplice da preparare,  ma molto gustoso. Un piatto che si prepara in pochi minuti e che sprigiona un profumo notevole: “U caciucavaddu cu sucu e u riano” (caciocavallo con salsa di pomodoro e origano).

Gli ingredienti di base sono il formaggio caciocavallo fresco, prodotto con il latte della mucca cinisara, continua

La Parmigiana di melanzane palermitana, con dubbi e trasgressioni

La Parmigiana di melanzane è uno dei piatti estivi più apprezzati in Sicilia e non solo. Quando ero bambina ed ancora erano anni in cui le fritture la facevano da padrone, la parmigia non mancava mai durante i pranzi assolati, soprattutto durante le vacanze nelle località balneari (il mare e le melanzane fritte si abbinano benissimo).

Dopo un piatto di pasta con le melanzane, il secondo era sempre quello, la parmigiana, d’altra parte già che si friggevano le melanzane, cosa costava farne qualcuna in più?

C’è però una cosa che fino a una certa età non immaginavo: la Parmigiana di melanzane  in altre città siciliane o regioni d’Italia (soprattutto la Campania), è completamente diversa da quella palermitana, o almeno da come la conoscevo io, un unico strato di melanzane fritte a fette, sovrapposte di poco una sull’altra, ricoperte con salsa di pomodoro e da una ricca spolverata di caciocavallo grattugiato. Nulla di più;  infatti da piccola, non amando il formaggio grattugiato, spesso mi rifiutavo di mangiarla o me ne facevo lasciare un angolino senza, ma a quel punto non mi sembrava nemmeno un piatto poi così particolare. continua

Ragù quaresimale ovvero “ragù chi patati”

Grazie alla raccolta di MelaZenzero, dedicata alla “Cucina di magro” tipica del periodo della Quaresima, ho scoperto una storia familiare ed una ricetta che non conoscevo.

E’ stato difficile trovare questo episodio nascosto nel cassetto dei ricordi di mia madre, anche perché di primo acchito, nel mio immaginario, il binomio palermitani/digiuno non sussiste ed ancor di più se i palermitani  in questione sono miei familiari, quindi avevo quasi del tutto escluso la possibilità di trovare una ricetta tipica, “leggera” e strettamente legata al periodo quaresimale. continua

I fasuola cu l’accia

Durante i periodi di crisi si dibatte sulla crescita o la decrescita: se sia giusto andare incontro al “progresso” o guardare con interesse al passato, il progresso che ci ha regalato delle invenzioni senza cui ormai non potremmo e vorremmo vivere, ma che a volte può essere distruttivo, il passato con i suoi valori, un rapporto più stretto con la natura, ma che è stato anche oppressivo e faticoso, soprattutto per le donne.

Potremmo, per esempio, fare a meno della lavatrice per aver un rapporto più stretto con i fiumi (dove si lavavano i panni)? Nessuna donna (e qualche uomo single o volenteroso) darebbe una risposta affermativa…

Come sempre bisognerebbe trovare una via di mezzo, la giusta armonia tra passato e futuro, per un futuro dove il progresso regali benessere e non solo profitti.

Considerazioni “socio economiche caserecce” a parte, a me di tanto in tanto mi piace scoprire i ricordi del passato, i sapori ancestrali che sanno di verità; mi piace calarmi nella semplicità di un tempo, quando le persone si riunivano intorno a un focolare  e si raccontavano le storie, scherzavano e sognavano. Non so dire se vorrei vivere quei tempi  (che facili non erano) ma di certo mi piace immaginarli, magari gustando una zuppa di quelle che riscaldano l’anima.

La zuppa del giorno si chiama “i fasuola cu l’accia” (fagioli con il sedano)ed è uno dei più tipici piatti della cucina povera siciliana. Un piatto semplicissimo con pochissimi ingredienti tutti vegetali, facile da preparare ed economico, che ben dimostra come in alcun casi il  risparmio non sia sinonimo di sacrificio. continua

“Favi a cunigghiu chi giri”

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“Le ricette della carestia”

 per saperne di più andare alla fine dell’articolo (dopo averlo letto, spero!).

Tanti anni fa una signora mi raccontava che quando era bambina nel dopo guerra, la sua famiglia non se la passava tanto bene, e così quando lei giocava nel cortile, la sua mamma per avvisarla che il pranzo o la cena erano pronti, urlava dalla finestra: “trasi ca è pronto i manciari” (entra che è pronto da mangiare) e poi: “oggi quaglie” oppure “oggi ficatu i setti cannola” oppure “favi e cunigghiu” etc.

Quando la bambina tornava a casa trovava però a tavola: melanzane fritte (che a Palermo chiamiamo quaglie), zucca rossa (ovvero ficatu etc…), fave secche in zuppa (chiamate fave a cunigghiu).

Il motivo del volontario tentativo di fraintendimento messo in atto dalla madre, serviva a far credere al vicinato di cucinare carne e quindi mostrare di appartenere ad un “livello sociale” più alto.

C’era una vecchia barzelletta in cui il povero solito Pierino per fare capire alla maestra di rifocillarsi ogni giorno con pietanze ricche e a base di carne, le elencava una serie di piatti come: “cotolette, lacerto, arrosto, etc”, però alla pronta domanda della maestra: “ma quanto ne hai mangiato?” il furbo Pierino rispondeva : “ne ho mangiati tre mazzi, maestra”.

Un po’ come in anni più recenti, capita che alcune persone, pur vivendo in povertà magari in case decadenti, espongano però in balcone le antenne satellitari o si indebitino con rate infinite pur di avere telefonini di ultima generazione, per possedere anche loro uno status symbol da mostrare agli altri… i tempi cambiano!

Ma perché tutta questa tiritera? Semplicemente perché il post di oggi è dedicato alle “fave a cunigghiu”.

Che c’entrano le fave con i conigli? Niente, se non che le fave secche bollite e con l’origano, si “devono mangiare” con le mani, schiacciando con gli incisivi la buccia e facendo fuoriuscire l’interno della fava, tutto ciò ricorderebbe, nella fantasia popolare, il modo in cui le mangiano i conigli.

Le “fave a cunigghiu” quindi sono le fave secche generalmente bollite e condite all’insalata con l’origano, in casa mia però abbiamo sempre nominato questo piatto per indicare un’ottima zuppa di fave con i giri (che sono le bietole in dialetto palermitano).

E’ un piatto della cucina povera siciliana che mi piace tantissimo, un ottimo abbinamento che crea un brodetto denso e saporito. Certo, bisogna mangiarle usando la forchetta per prendere i giri (bietole), il cucchiaio per il brodo, ma soprattutto le mani per le fave, che vanno poi portate alla bocca per separare l’interno dalla buccia che va buttata successivamente in un piattino messo apposta per tale uso, non è un’ attività molto raffinata, ma se la si fa nell’intimità delle proprie mura domestiche può rivelarsi un’esperienza positiva, insomma per un giorno si diventa simili ai conigli, ma mi domando se non siano i conigli ad offendersi essendo paragonati a tali mangioni umani!

Ricetta

Ingredienti:

500gr fave secche con la buccia, 4 mazzi di bietole a coste larghe, 4 spicchi d’aglio (in camicia), acqua, sale, olio q.b.

Preparazione:

Mettere le fave a bagno in acqua bollente (fuori dal fuoco) per due ore.

Quando la buccia si comincia ad ammorbidire, scolarle e con un coltellino togliere l’occhio della fava (la parte superiore nera) e poi sciacquarle. Riempire una pentola con acqua, quando bolle versare le fave, l’aglio e sale q.b. Da quando l’acqua ribolle, lasciar cuocere a fuoco moderato, con coperchio semi chiuso per circa un’ora e mezza, mescolando ogni tanto. A questo punto, aggiungere le bietole precedentemente lavate, scolate e dimezzate (se di dimensioni troppo lunghe). Da quando riprende il bollore far cuocere per altri quindici minuti. Condire con olio crudo.

Buon appetito

CON QUESTA RICETTA PARTECIPO AL CONTEST

“LE RICETTE DELLA CARESTIA”

nella categoria: RICETTA ANTICA